APPENDICE F al " IL PRIMO PROSCIUGAMENTO
DEL FUCINO"
IL "
TEATRO ",
LE STATUE E LA NUOVA ZONA ARCHEOLOGICA
DI MARRUVIO
La prima
segnalazione.
A titolo d'informazione, riporto qui il
testo della lettera con cui ho segnalato alle competenti Autorità
la scoperta e la localizzazione del teatro di Marruvio. Essa è
stata già pubblicata su Il Tempo del 14 aprile 1979, sabato santo.
Ecco il testo integrale:
Al Ministro per i Beni Culturali e
Ambientali
ROMA
Al Soprintendente alle Antichità d'Abruzzo
CHIETI
All'Assessore ai Beni Culturali della Regione Abruzzo
L'AQUILA
Al Sindaco del Comune di
S. BENEDETTO DEI MARSI
Oggetto: Localizzazione del teatro di Marruvio.
Mi permetto segnalare alle Autorità
in indirizzo, per le rispettive competenze, la localizzazione del teatro
di Marruvio, la città principale degli antichi Marsi, il cui sito
è coperto oggi in gran parte e sempre più dall'abitato di
S. Benedetto dei Marsi (L'Aquila).
Gli accenni che in passato si avevano sul teatro erano pochi e vaghe,
rendendone problematica la localizzazione. Ora sono in grado di indicarla
finalmente con precisione: il teatro di Marruvio si trova all'ìnlerno
dell'alveo dell'ex lago Fucino, a circa 500 metri dalla vecchia linea
di costa.
Questa circostanza, a prima vista assurda, non deve fare meraviglia. Infatti
qualche anno prima della metà dei II secolo d.C,, era stata prosciugata
un'ampia fascia più esterna del fondo del lago Fucino, mediante
un emissario artificiale, i cui lavori, portati a buon punto dall'imperatore
Claudio e, dopo un abbandono di circa sessant'anni, ripresi da Traiano,
furono compiuti sotto Adriano.
Questa fascia di terre prosciugate doveva essere, davanti a Marruvio,
larga circa un chilometro e in essa ben presto si dovette sviluppare una
notevole espansione edilizia. Lo dimostra il ritrovamento di una bella
fontana ornamentale (all'interno del Fucino, a quasi un chilometro da
S. Benedetto), resto certo di una villa costruita sul posto; lo fanno
pensare varie tracce di altri resti, osservabílì nelle foto
aeree di quella zona. E appunto in quella zona, tra il vecchio centro
storico di Marruvio e la nuova spiaggia del lago, fu costruito anche il
teatro. Ostruitosi poi l'emissario, probabilmente nel VI secolo e forse
anche prima, il lago tornò a rioccupare i suoi vecchi confini naturali,
sommergendo e inghiottendo tutto coito le sue acque.
La localizzazione del teatro è precisa.
Ne è prova evidente la foto aerea che allego. Essa è un
ingrandimento della foto originale n. 3345 del volo base 1954 dell'Istituto
Geografico Militare, che mi ha gentilmente concesso copia del negativo.
Nella foto si vede a destra l'abitato di S. Benedetto dei Marsi (oggi
più esteso), mentre a sinistra, un po' in basso, si distingue nettamente
la sagoma del teatro di Marruvio: è il semicerchio chiaro .
Inoltre questa localizzazione del teatro quadra perfettamente con certe
altre notizie del passato, un po' vaghe e finora non ben valutate.
Infatti si sa, da varie fonti, che nel 1752 furono rinvenute parecchie
statue (qualcuno ha scritto addirittura 12!) tra i resti del teatro di
Marruvio, andate poi a finire parte a Caserta, alla famosa Reggia che
allora Carlo III si stava costruendo, e parte al Museo di Napoli. Si sa
inoltre che rovine dell'antica città marca erano affiorate allora
in occasione di un abbassamento eccezionale delle acque del Fucino. Ma
nell'ottobre scorso, dedicandomi a uno studio più approfondito
sulle vicende del primo prosciugamento del lago ad opera degli imperato°i
romani, mi è venuta in mente l'idea, semplicissima, di correlare
le due precedenti informazioni: allora, ho pensato, il teatro di Marruvio
doveva stare « dentro » il Fucino, nella zona prosciugata
nel II secolo d.C.!
Quest'ipotesi lì per lì mi aveva quasi sorpreso; poi mi
ha convinto e affascinato. Perciò ho cercato di tentarne una verifica
mediante foto aeree della zona. E la verifica è stata la più
piena.
Ora vorrei far rilevare che oltre al teatro, che è senz'altro un
complesso archeologico di grandissimo interesse, ire quella stessa zona
dovrebbero esserci numerosi altri resti, come fanno pensare le varie tracce
osservabili nello foto aeree. In più, fino a cento anni fa lì
c'era il lago, per cui tutti i resti archeologici ivi esistenti, compreso
il teatro, sono ora coperti soltanto da terreno agricolo, con colture
annuali, senza costruzioni e probabilmente a profondità minima.
Quindi è tutta una zona archeologica nuova, molto promettente e
senza difficoltà particolari di scavo, salvo le immancabili complicazioni
coi proprietari dei terreni interessati.
Ma prima di chiudere, vorrei rivolgere alle competenti Autorità
una preghiera vivissima.
Nel passato, lontano e anche abbastanza recente, si sono commessi e tollerati
in S. Benedetto dei Marci numerosi e gravi danneggiamenti e distruzioni
dei reperti archeologici di Marruvio, con nuove costruzioni private e
pubbliche nell'area dove sorgeva l'antica città. Ma ripetere ora
anche per il teatro gli stessi errori e manchevolezze del passato sarebbe
cosa assolutamente imperdonabile. Perciò almeno per quest'ultimo
eccezionale resto di Marruvio, finora nascosto c protetto amorosamente
da madre terra e dal quale è lecito sperare gradite sorprese (si
ricordino le statue finite a Caserta e a Napoli), si usino con sollecitudine
e intelligenza tutte le salvaguardie e gli accorgimenti tecnici e legali
per garantirne l'integrità e la conservazione.
È una preghiera e un appello accorato, dopo l'amara esperienza
delle incessanti distruzioni del passato.
È gradito un cenno di riscontro.
Distintamente.
Ciampino, 4 aprile 1979.
Quasi subito dopo ho pubblicato, su Marsica Domani (aprile 1979) un articolo,
nel quale aggiungevo altri particolari.
Un estratto della precedente comunicazione è stato pubblicato su
Antigua (aprile giugno 1979).
Qui ora ritengo opportuno riportare quelle prime notizie, integrandole
con ulteriori particolari interessanti, per offrire al lettore un quadro
più completo di informazioni sulla questione, mettendo qui in maggior
risalto l'importanza della nuova zona archeologica di Marruvio, mentre
all'inizio avevo puntato l'attenzione quasi esclusivamente sul teatro
(1*).
Il problema del
teatro e delle statue.
Il teatro di Marruvio e le statue che vi
furono ritrovate più di duecento anni fa hanno costituito sempre,
per me, una specie di mistero e di passione.
La prima volta che me ne sono occupato è stato undici anni fa,
quando preparai il primo appello alle competenti Autorità Comune
di S. Benedetto dei Marsi e Soprintendenza dì Chieti in data 13
settembre 1969 e a firma mia e di D'Arpizio, perché fossero impedite
ulteriori distruzioni nella restante zona archeologica di Marruvio ancora
coperta dai campi, posta a sud est dell'odierno abitato di S. Benedetto
dei Marsi (2).
All'esposto allegai una cartina, con l'indicazione dei principali resti
dell'antica città marsa. Ma per localizzarvi il teatro disponevo
solo delle indicazioni contenute in una relazione sullo stato dei resti
di Marruvio, redatta in data 15 maggio 1891 dall'avv. Francesco Lolli
di Avezzano per la Commissione Conservatrice dei Monumenti di Antichità
e Belle Arti di Aquila (3). Secondo
tale relazione il teatro doveva stare nella parte bassa della città
verso il Fucino, a ridosso delle mura; e a conforto di tale localizzazione
c'era la presenza di alcuni locali di fattura antica, tuttora esistenti,
tra Via Romana e Via dei Sacerdoti, dove il terreno offre una notevole
scarpata. Quelle indicazioni non mi quadravano tanto, ma nemmeno avevo
elementi diversi, per cui allora localizzai anch'io il teatro in quella
zona. E mi sbagliai.
Infatti nell'estate del 1977, insieme agli amici professor Cesare Letta
e Giuseppe Grossi, abbiamo fatto una attenta ricognizione in quella zona
e ne abbiamo dovuto concludere che lì il teatro di Marruvio non
ci poteva stare. Così, se prima la cosa non era del tutto chiara,
adesso era buio completo.
A questo punto ritengo opportuno ripubblicare, nella fig. 29, la pianta
dei resti di Marruvio, già pubblicata dal Colantoni e dall'Orlandi
(4): in essa è chiaramente
localizzato il « teatro ».
la linea A B (all'incirca le attuali Via Romana e Via Pagliarello).
Perimetro delle mura: la linea sottile indica il tracciato probabile delle
mura, dove non c'erano resti visibili; le lettere a, b, c, d indicano
tratti di mura ben visibili ed elevate rispetto al terreno, mentre le
lettere e ed f indicano tratti di mura appena affioranti dal terreno.
Inoltre, la lettera g indica « un masso, che a guisa di macigno...
è rotolato nel fosso, quasi rimpetto al punto segnato in pianta
con N. 10 m (LOLLI), mentre la lettera h indica < tre cisterne servite
per lavoratori, il cui fondo è del diametro di un metro e mezzo
» (COLANTONI, p. 251).
Altri resti importanti:
I) « Anfiteatro chiuso da ruderi di due muri ellittici concentrici.
Vi si vedono le cavee per le fiere >
2) «Campidoglio, ove fu rinvenuta la lapide che lo attestò.
Oggi vi è da capo, per un quarto, la antica semidiruta monumentale
chiesa di S. Sabina; e da piedi, pei restanti tre quarti, era l'antico
Seminario de' Marsi ».
3) « Teatro, ove furono rinvenute, nel secolo scorso [XVIII] le
dodici statue c; trasportate a Caserta ».
4) « Antico palazzo vescovile, oggi stalla, detta loco
5) « Ginnasio, con sedili di pietra tondeggiata, alti da terra mezzo
metro, col portico interno, ove furono dissotterrati pezzi di colonne.
Il ginnasio e portico sono lastricati i pietre scalpellate ».
6) « Pozzetto di acqua sorgiva, ove fu rinvenuta la testa di Scipione
Africano in basalte, riconoscibile dalla cicatrice decussata e dal neo
che porta. Ora que sta testa si possiede dal Notaio Cambise di Pescina
».
7) « Strada lastricata, che dal ginnasio va all'anfiteatro ».
8), 9) e 12) Probabili « porte » della città.
10) « Massi sepolcrali entro la città, alti metri quattro
»; sarà stato, quasi sicuramente, un altro « morrone
n.
11) Morroni attuali: « si vede solo l'ossatura, mentre il rivestimento
ne è affatto scomparso, adibitesene per pietre, come si vuole,
fin da circa il XVI secolo a ricoprire la facciata della cattedrale di
Pescina » (LOLLI). C'era però legato strettamente al teatro
un altro argomento che pure mi appassionava da tempo e mi faceva gola:
tentare di rintracciare almeno una delle parecchie statue che, secondo
varie fonti, furono ritrovate tra i resti del teatro di Marruvio nel 1752.
Una traccia precisa ce l'avevo: era la citazione di una lettera del 3
febbraio 1752 del chietino Romualdo di Sterlich, marchese di Carmignano,
che conteneva la prima notizia dei ritrovamento di due statue. Passando
per Firenze il 16 maggio 1972, andai tutto speranzoso alla Biblioteca
Riccardiana(5). Vi trovai la lettera
che cercavo; essa però diceva semplicemente così: « Vicino la Terra di S. Benedetto nella Provincia dell'Aquila, essendosi
fatto uno scavo per ordine della nostra Corte, sono state trovate due
statue di marmo, con le seguenti iscrizioni, se chi me l'ha mandate l'ha
ben copiate
ANTONIA CLAVDI NERONIS CESARIS nell'altra
M. LIVIVS L.. VS CLAVDIA
Le statue sono giudicate di buon artefice, e credo che arderanno al Museo
Reale ».
In quegli anni, infatti, il re di Napoli Carlo III si stava facendo costruire
la famosa Reggia a Caserta e le statue di Marruvio sarebbero andate a
finire parte a Caserta, appunto alla Reggia, e parte a Napoli, al Museo
Archeologico.
Le ho cercate a Caserta. Un compaesano mi ha assicurato di aver visto
sotto una statua una targhetta con l'indicazione « provenienza S.
Benedetto dei Marsi ». Ci sono riandato apposta, ma non sono riuscito
a rintracciare niente.
Né credo che siano quelle o, al massimo, soltanto qualcuna conservate
all'interno del Giardino Inglese, In fondo al grande Parco della Reggia
di Caserta, perché, stando a numerose indicazioni, una buona parte
delle statue di Marruvio sarebbero andate al Museo Archeologico di Napoli (6).
Le ho cercate invano anche a Napoli. Lo stesso Soprintendente prof. Alfonso
De Franciscis, a fine luglio del 1969, mi disse che lui il Museo lo conosceva
tutto a menadito, ma che delle statue di Marruvio non sapeva niente.
Ne sono rimasto molto deluso, quasi mortificato. Ma mentre finora ero
stato a Napoli e a Caserta quasi sempre occasionalmente, appena mi sarà
possibile vi tornerò per farne ricerche accurate e metodiche, con
la fiducia di venire a capo
di qualcosa di più concreto . Il giorno 23 febbraio u.s.. ho fatto
un nuovo tentativo di rintracciare qualche statua di Marruvio al Museo
Archeologico di Napoli. Come riferimento motivo di speranza avevo la statua
di Agrippina presente a Caserta prima della fine del XVIII secolo (STILE,
p. 36) e poi a Napoli a metà del secolo successivo (DE LUCA, p.
25) e i busti di alabastro di Adriano e di Sabina (ANONIMO, p. 7)
Per la statua di Agrippina ho trovato ben paco in più rispetto
a quello che già sapeva. Comunque, ciò ha contribuito a
far crescere in me la convinzione che essa deve essere una di quelle ritrovate
nel Fucino, nella nuova zona archeologica di Marruvio; ne riparleremo
tra poca. Per le altre statue, mi è stato detto che è una
ricerca quasi senza speranze.
Invece per i busti di alabastro, al Museo di Napoli ce ne sono esposti
solo due, entrambi femminili; ma i personaggi che si ravvisano in essi
non sono né Sabina, né altra donna legata m qualche modo
al Fucino
Comunque, ero a questo punto, quando nell'ottobre del 1978 mi è successo un fatto nuovo.
Impegnatomi ad approfondire lo studio delle vicende del primo prosciugamento
del Fucino ad opera degli imperatori romani, per partecipare al Concorso
Marsica 1978, mi è venuta in mente un'idea semplicissima, un vero
uovo di Colombo. Infatti da qualche fonte sapevo del ritrovamento delle
statue tra i restidel teatro di Marruvio nell'anno 1752 e che in quello
stesso anno c'era stato un abbassamento eccezionale delle acque del lago (7). Ho collegato insieme le due notizie. « Allora ho pensato il teatro non poteva stare vicino le mura della
città; doveva stare dentro il Fucino, in una zona normalmente coperta
dalle acque c dal limo, osservabile solo quando il lago si ritirava in
modo del tutto eccezionale. E se lì, nel Fucino, non doveva stare
nemmeno tanto lontano dalla città e comunque nella fascia di terre
prosciugate nel II secolo d.C. ».
Quest'idea lì per lì mi aveva quasi sorpreso per la sua
semplicità, tanto da rendermi anche un po' diffidente; poi però
mi ha convinto e affascinato. Perciò mi sono deciso a tentare una
verifica, consultando le foto aeree di quel tratto di Fucino.
A metà febbraio del 1979, tramite un amico del Consiglio Nazionale
delle Ricerche, dr. Catizzone, ho avuto la possibilità di esaminare
le foto aeree di tutta zona che va da Villavallelonga al Bacinetto. Non
erano le foto che mi interessavano. Ma prima di riconsegnarle, quasi per
scrupolo, ho cercato di vedere quanto mancava per arrivare a S. Benedetto.
E così, all'estremo angolo in alto a destra della foto n. 3356
ho visto l'inizio di Strada 22 e le prime case di S. Benedetto e, subito
dopo la curva vicino alla « pesetta » per le barbabietole,
un semicerchio piccolino ma ben distinto. È stato un lampo! Quello
doveva essere il teatro di Marruvio!...
Nei giorni successivi mi sono recato all'Aerofototeca di Roma, all'EUR,
per cercare qualche foto aerea migliore, più centrata: poi, il
13 marzo sono andato direttamente a Firenze, all'Istituto Geografico Militare.
La foto di fig. 3 è quella rilasciatami dall'Aerofototeca di Roma.
Ne riporto qui, in fig. 30, un po' ingrandita la parte compresa tra la
Via Circonfucense e il Bacinetto, dove si trovano il teatro e la nuova
zona archeologica di Marruvio.
Qualcuno si aspettava forse qualcosa di più?
Il primo a desiderare qualcosa di più sono io. Però bisogna
anche sapersi contentare. Qui, infatti, si tratta di una situazione particolare,
per la quale avere al primo colpo una foto così ben marcata è
già una cosa notevole. Basti pensare che si tratta di una foto
ripresa dall'aereo, a circa 5000 metri di quota; e poi, soprattutto, il
risultato non dipende né dalla macchina, né dalla capacità
dell'operatore, bensì dalle condizioni ambientali: colorazione
della vegetazione e stato di umidità del terreno. Anzi, devo dire
di essere stato particolarmente fortunato, perché ho potuto esaminare
altre foto aeree della stessa zona (quelle della RAF inglese, dell'8 settembre
1943, ed altre più recenti, di fine 1970), ma in esse del teatro
non appare traccia. Ho un'altra foto, rilasciatami anch'essa dall'Aerofototeca
di Roma, ripresa tredici giorni dopo quella di fig. 3: vi è ancora
una traccia del teatro, ma così tenue che, se uno non lo sapesse
già, il teatro difficilmente ce lo vedrebbe.
Ma la cosa ha una sua spiegazione. Le foto dell'I.G.M. non avevano finalità
archeologiche, bensì solo scopo fotogrammetrico; il resto che vi
si può vedere è tutto di più, direi quasi solo fortuna.
Perciò la foto di fig. 3 è già un ottimo risultato
ed io ne sono più che contento. Anzi questa foto è di una
forra probativa evidentissima, perché la macchina fotografica non
soffre di allucinazioni né di simpatie o parzialità campanilistiche:
quello che vede registra, e perciò, se ha registralo quel .semicerchio,
è certo che sotto quel terreno c'è qualcosa di concreto.
Ma sarà proprio un “teatro”?
Come ho già detto, il mio primo tentativo di localizzare il teatro
di Marruvio, fatto sulla scorta delle indicazioni del Lolli, ha avuto
un riscontro negativo; d'altra parte, all'interno della cinta muraria
di Marruvio non conosciamo altre tracce che facciano pensare a un teatro
(8). Eppure di teatro parlano esplicitamente diversi
scrittori di cose marsicane. Avevo tentato anche la pista delle statue,
che vi furono ritrovate nel secolo XVIII, ma fin'allora le mie ricerche
avevano avuta esito deludente.
Ero a questo punto, quando, guidato dall'ipotesi che il teatro dovesse
stare dentro il Fucino, la sera del 17 febbraio 1979 ho visto ben distinto,
nella foto aerea n. 3356, quel semicerchio piccolino, appunto all'interno
del Fucino e poco lontano da S. Benedetto. Era la verifica della mia ipotesi:
quello doveva essere il teatro di Marruvio che da tanto tempo cercavo!...
Era già una soddisfazione per me, ma non poteva bastare come «
prova ».Perciò cominciai ad informarmi di altri metodi e
mezzi, allo scopo di avere apre conferme, più convincenti. Ma sia
con strumentazione elettronica, sia mediante aerofotografia per prospezioni
archeologiche, ci sarebbero voluti sempre milioni.
E così la cosa si è presto arenata. E intanto i mesi passavano
e nessuno dei destinatari della mia segnalazione si faceva vivo, Non mi
aspettavo, certo, una risposta di merito, impensabile – in materia
come questa nel giro di pochi mesi; ma un cenno di semplice ricevuta poteva
rientrare, forse, anche nell'ordine di una correttezza puramente formale.
E così, questo silenzio gelido ha cominciato a pesarmi.
E quando, nell'ottobre scorso, mi sono messo a raccogliere con cura le
varie fonti bibliografiche, ho avuto una sorpresa: sulle statue ho trovato
numerose testimonianze; sulla zona archeologica, tante conferme unanimi;
invece sul teatro, poco, pochissimo! ne parlano solo cinque autori tra
i più recenti. Per me è stato come uno scossone. E mi sono
nati dei dubbi: ma allora le famose statue sarebbero state trovate veramente
in un teatro? e perché non ne fanno cenno le altre fonti? e quella
sagoma semicircolare, visibile nelle foto aeree, era veramente un teatro?
o poteva essere qualcos'altro?
Così il « teatro» ridiventava un problema, quasi una
sfida. Ma dovevo tentare di darmi una risposta ai nuovi interrogativi.
Ho riesaminato meglio le varie foto aeree: vi si nota una certa asimmetria;
inoltre, sulla destra della linea bianca (che è una stradina brecciata)
si intravede una macchia a sagoma curva che, accoppiata a quella del teatro,
potrebbe far pensare a un « anfiteatro », dalla forma ellittica
completa. Potrebbe anche essere; perlomeno non è da escludere a
priori, anche se pare strano che Marruvio avesse nel II o III secolo due
anfiteatri, uno oggi parzialmente visibile, vicino al campo sportivo,
e un altro nel Fucino, celato sotto terra. D'altra parte, pare evidente,
dalla stessa foto aerea, che i due campi, quello a sinistra e quello a
destra della stradina bianca, al momento della foto erano in condizioni
di vegetazione (e forse anche di umidità) diverse, per cui in essa
le due porzioni dell'ellisse si vedono marcate diversamente.
A questo punto, condizionato dal termine « teatro » usato
dalle varie fonti precedenti, potrei aver chiamato anch'io, forse troppo
frettolosamente, « teatro » quell'« oggetto misterioso
» che sta lì, nel Fucino, sotto terra. Si potrebbe pensare
ad altre strutture (9), che non siano
un vero e proprio teatro, che diano, però, egualmente origine a
quell'impronta semicircolare o ellittica visibile nelle foto aeree,
che, certo, non può essere una... fata morgana. Per chiarire, quindi,
quel mistero insoluto del teatro di Marruvio, si impone una verifica più oggettiva e convincente.
Altre foto aeree, eseguite con tecniche adatte a prospezioni archeologiche
e ripetute in diverse condizioni di terreno, potrebbero dare già
una prima risposta alla questione, senza toccare affatto il terreno. Ma
la risposta definitiva la darebbe solo uno scavo nel terreno, o almeno
una serie di saggi conoscitivi. Ma così la cosa si complica maledettamente:
occorrerebbero consensi e autorizzazioni e quattrini. E poi, oltretutto,
la cosa dipende da Altri, che finora conservano sulla faccenda il più rigoroso silenzio.
Perciò, in attesa che si possa individuare meglio e indicare col
nome più appropriato l'oggetto misterioso, io qui per ora continuo
a chiamarlo “teatro”, ma tra virgolette, cioè con certe
riserve.
Sarà il tempo a dare la risposta giusta. Le indicazioni delle varie
fonti.
Comunque, indipendentemente dalla consistenza e dalla conseguente denominazione
più appropriata che potrà avere in futuro 1'« oggetto
misterioso » che si cela ora nel Fucino, voglio qui indicare il
contenuto delle numerose fonti che sono riuscito a raccogliere finora
sull'argomento nel suo complessa.
E diciamo subito che, se la foto aerea ha un suo valore probativo evidente,oggi,
alla luce di questa scoperta, acquistano più valore e chiarezza
anche le varie e vaghe notizie che della zona si avevano in passato. Queste
notizie riguardano tre argomenti distinti: le statue, il teatro, la nuova
zona archeologica di Marruvio.
Ho raccolto notizie da ventidue fonti diverse. Ma, se si dovesse fare
tra di esse una graduatoria di valore, penso che andrebbe dato maggior
valore a quelle più circostanziate e cronologicamente meno recenti.
Per comodità e documentazione del lettore, riporto in nota (10)
i testi delle varie notizie; qui invece cerco di raggrupparle per argomenti.
Notizie sulle statue. Delle ventidue fonti citate, ne danno notizia ben
diciotto, anche se in parecchi casi si tratta piuttosto di semplici accenni
generici. Inoltre.sul numero delle statue e sui personaggi in esse raffigurati,
non c'è uniformità tra i vari autori.
Parlano di dodici statue solo cinque autori, tra i più recenti:
Di Pietro, Fernique, Colantoni, Lolli, Orlandi; gli altri non ne precisano
il numero. Parecchi autori ne indicano i personaggi: sette (Margarita,
Afan De Rivera, Anonimo, dell'antica Valeria presso S. Benedetto, nelle
quali furono rinvenute vari oggetti di antichità e le statue di
Agrippina, di Claudio, di Nerone, e di Adriano, che vennero trasportate
a Caserta per ornamento di quella reggia».
Geffroy, Brisse De Rotrou, Lolli, Orlandi) fanno i nomi di Claudio, Agrippina
e Nerone; ire (Margarita, Afan De Rivera, Anonimo) fanno anche il nome
di Adriano; uno solo (Anonimo) menziona il ritrovamento dei « busti
di alabastro di Adriano e di Sabina », sua moglie.
In particolare lo Sterlich ci parla delle iscrizioni di due statue diverse
da quelle sopra indicate: una di Antonia Maggiore, nipote di Augusto e
nonna di Nerone; l'altra di Marco Livio Druso Claudiano, suocero di Augusto
(11).
Inoltre l'inglese Hoare precisa che alcuni busti e statue furono recuperati
tra i resti di « un antico edificio, costruito in pietre e opus
reticulutnm ».
Anche in Letta D'Amato c'è qualcosa di nuovo: oltre la conferma
dell'esistenza, in Marruvio, di numerose statue di personaggi della famiglia
Giulio Claudia, c'è, come novità, l'attestazione di statue
di personaggi locali d'alto rango, i Rubellii (12).
Fig. 31 Statua
detta di Agrippina, oggi al Museo Archeologico di Napoli.
La statua di Agrippina. Purtroppo, nessuno
degli autori sopra citati indica le fonti delle notizie o fornisce qualche
buon indizio per permetterci di rintracciare le statue di Marruvio.
Anzi, il Messineo ha scritto (13)
che « oggi le statue, se ancora esistono, non sono più identificabili,
né sapremo mai se effettivamente raffiguravano la famiglia imperiale
o se si tratta delle solite invenzioni erudite ». Questo è
un giudizio nettamente negativo e scoraggiante. Ma io sono marruvino e
perciò non posso arrendermi!...
Finora ho indirizzato i miei sforzi alla ricerca di un qualche documento,
a Caserta o a Napoli, che si riferisse alle nostre statue; ma invano.
Ultimamente ho trovato l'indicazione per un'altra pista nuova, di carattere
documentario: la tenterò appena possibile.
Comunque, da quanto finora ho potuto capire, sto cominciando a maturare
questa « convinzione »: la statua detta di Agrippina, oggi
nel Museo Archeologico di Napoli, quasi. certamente è una delle
statue ritrovate nel Fucino, vicino a S. Benedetto, dopo la metà
del XVIII secolo. È la statua riprodotta in fig. 31 (14).
Ho detto “quasi certamente”, perché un documento che
lo provi, finora non lo conosco; ma i motivi che mi inducono a pensarlo,
ritengo che siano abbastanza validi.
Innanzitutto, sono molti gli autori (Stile, Margarita, Afan De Rivera,
Anonimo, De Luca, Geffroy, Brisse De Rotrou, Lolli, Orlandi) che parlano
di una statua di Agrippina, ritrovata, insieme ad altre, nel Fucino e
poi mandata alla Reggia di Caserta .
All'epoca dell'architetto Stile (la cui Relazione si riferisce all'anno
1789) tale statua era ancora a Caserta (« ... la statua famosa di
Agrippina oggi esistente nella Reggia di Caserta »). Dopo la metà
del secolo scorso la stessa statua era già a Napoli: ce lo precisa
espressamente il De Luca, con questa nota di rettifica alla frase ora
citata dello Stile: « Oggi è nel Real Museo Borbonico »;
affermazione che il De Luca ripete anche nella sua introduzione alla Relazione
dello Stile: «... la statua di Agrippina... ora si ammira nel Real
Museo Borbonico » . Dunque, si tratta sempre della stessa statua.
(Per inciso, il Real Museo Borbonico è 1a vecchia denominazione
dell'attuale Museo Archeologico di Napoli).
Inoltre, l'unica statua, detta di Agrippina, tuttora esistente nel Museo
di Napoli, è quella di cui stiamo parlando; l'altra raffigurazione
di Agrippina, anch'essa nello stesso Museo, è un « busto
» (15), per cui non ci può
essere equivoco con la nostra « statua ».
Ed allora, essendo tale statua di Agrippina l'unica esistente tra Caserta
e Napoli, essa non può essere che una di quelle ritrovate nel Fucino,
presso S. Benedetto!
Ci sarebbero diverse altre cose da dire. Ma per ora mi fermo qui.
Come si vede, materia per una ricerca più approfondita, ce n'è;
speranza di risultati migliori, anche; voglia di riuscirci, tanta!...
Notizie sul teatro. Per quanto abbondanti le notizie sulle statue, altrettanto
scarse ed enigmatiche sono le indicazioni per il « teatro ».
Parlano del teatro gli stessi cinque autori che parlano delle dodici statue.
Le loro indicazioni sono abbastanza generiche, anche se tre di essi Colantoni,
Lolli, Orlandi ne precisano il sito nelle loro piantine dei resti di Marruvio,
dentro la cinta delle mura dell'antica città;
Cinque autori, di per sé non sarebbero pochi. Però, se andiamo
ad esaminare con occhio critico le loro posizioni, vediamo subito che
l'Orlandi riporta quasi integralmente il testo della Relazione del Lolli;
quest'ultimo, poi, si richiama al Colantoni, infine il Di Pietro e il
Colantoni erano entrambi sacerdoti a Pescina e contemporanei, per cui
nasce il sospetto che essi esprimano una stessa opinione comune. Così,
questi quattro autori si possono forse considerare, tutto sommato, quasi
come un'unica fonte.
Nel dubbio, è preferibile astenersi da qualunque denominazione
».
Con questa descrizione, più particolareggiata, concordano le espressioni
sintetiche dell'architetto Stile («famosa statua ») e del
De Luca (« tenuta a modello di scultura »).
Si distingue da essi il francese Fernique. Egli, infatti, pur riportando
la tradizione secondo la quale « nel secolo XVIII furono trovati
i resti di un teatro », sulla sua localizzazione, invece, dichiara
semplicemente che “ ubi sittrm fuerit hoc theatrum non patet”
cioè « dove fosse stato questo teatro, non è chiaro
».
Particolare attenzione merita, invece, quel che ne scrive l'inglese Hoare.
Egli parla, infatti, di « un antico edificio, costruito in pietre
e opus reticulatum », tra le cui rovine « furono estratti
alcuni busti e statue », inviati poi a Caserta. Anche queste sono
informazioni abbastanza generiche, che però concordano pienamente
con quelle di altri autori che parlano del ritrovamento delle statue.
L'Hoare, tuttavia, è l'unico che parla di questo « antico
edificio, costruito in pietre e opus reticulaturn »: è un
accenno o descrizione che ben si attaglierebbe anche a un teatro. Che
poi questo antico edificio fosse proprio il teatro di Marruvio, né
si. può affermare, né si può escludere. Comunque,
tale edificio cioè il... possibile teatro doveva stare nel Fucino,
perché anche 1'Hoare dice che da esso furono recuperate basii e
statue, concordando in ciò con tutti gli altri autori che esplicitamente
le dicono rinvenute all'interno del Fucino.
Ma, stando così le cose, in base a quali elementi i cinque autori
citati hanno parlato di « teatro »? e poi hanno parlato di
« dodici » statue?
Nuova zona archeologica. Quest'altro argomento, trascurato da tutti gli
studiosi e storici moderni di cose marsicane, ha invece numerose attestazioni
nel passato.
Parlano esplicitamente di resti dell'antica città di Marruvio (o
Valeria), affiorati in occasione dell'eccezionale abbassamento delle acque
del lago nel 1752, ben credici autori diversi; sette di essi parlano anche
di « preziose anticaglie» o altri « oggetti di valore»
allora recuperati.
Una posizione particolare è quella
dell'Hassert, secondo il quale il Fucino avrebbe dovuto avere nell'antichità
una estensione molto minore di quella del secolo scorso; anzi, scrive
(16),« la migliore idea della
superficie che il lago allora occupava la dà, forse, l'estensione
del 1752 », per cui ritiene che « l'antica capitale dei Marsi
dovette evidentemente essere fondata quando le acque non avevano ancona
invaso il suo suolo»; e infatti secondo l'Hassert Marruvio doveva
stare nel Fucino, perché « le ruine di Marruvio... vennero
in luce nel ritiro straordinario del 1752 ».
La nuova zona archeologica di Marruvio. (17)
Oggi noi conosciamo il perimetro quasi completo delle mura della città
di Marruvio e quindi sappiamo benissimo dov'era la vera città di
Marruvium, quella attestata dalle fonti antiche e da quelle epigrafiche
e dai numerosissimi ritrovamenti archeologici.
Ma allora, i resti affiorati all'interno del Fucino in occasione dell'eccezionale
abbassamento delle acque nel 1752, tali da far credere all'Hassert che
quelli fossero « Marruvio », cosa erano in realtà?
Ecco un altro grosso problema riguardante Marruvio
Dopo quanto già sappiamo sul prosciugamento del Fucino da parte
dei romani, non credo che ci voglia molta fantasia per supporre che quei
resti, affiorati nel Fucino nel 1752 non lontano da S. Benedetto, siano
i resti di una zona residenziale extra urbana di Marruvio, sorta dopo
il prosciugamento del lago verso la metà del II secolo d.C. e «
inghiottita » poi dalle acque del lago, quando il Fucino, forse
nel VI secolo, tornò a rioccupare i suoi vecchi confini naturali.
Detta così, può sembrare un'affermazione gratuita. Ma, a
ben rifletterci, non può essere diversamente: sono troppi gli indizi
che ci portano a pensarlo.
Cerchiamo innanzitutto aiutandoci un po' con la fantasia, ma tenendo ben
presenti le cognizioni certe che finora abbiamo acquisite di ricostruire
le nuove condizioni createsi nella conca del Fucino intorno alla metà
del II secolo d.C.
Era stata allora portata appena a compimento la grande impresa romana,
liberando dalle acque un'ampia fascia periferica dell'alveo del lago,
cd erano state ripartite le nuove terre tra i municipi di Alba e di Marruvio;
vedi fig. 24. Nella zona occidentale, compresa tra Paterno e Luco, dove
il fondo del lago aveva una pendenza lievissima (e così pure verso
Ortucchio), la fascia di terre sottratte alle acque del lago era larga
sui quattro chilometri e mezza; invece nella zona Bifronte a S. Benedetto
(e anche tra Trasacco e Arciprete), dove la pendenza era più accentuata,
la fascia di terre prosciugate era notevolmente più rastrella,
all'incirca di un chilometro.
Ora, nel II secolo d.C. in Italia regnava una pace generale c duratura,
garantita dall'estensione immensa dell'impero romano, le cui frontiere
erano lontane parecchie migliaia di chilometri; non c'era quindi più
necessità e interesse ad abitare pigiati dentro la cerchia ristretta
delle mura cittadine, che pure per Marruvio avevano uno sviluppo di quasi
tre chilometri. Inoltre il benessere arrivato nella Marsica con le nuove
fertilissime terre sottratte al lago e l'ampio spazio creato tra la città
e la nuova spiaggia del lago, dovettero provocare senz'altro intorno a
Marruvio una grande espansione edilizia, in prevalenza verso la nuova
spiaggia del Fucino.
Poi però, come abbiamo già detto, qualche secolo più
tardi, forse intorno alla metà del VI secolo o anche prima, l'emissario
romano cessò di funzionare e il lago tornò ai suoi vecchi
confini naturali, sommergendo e inghiottendo tanta vita sotto le sue acque.
Così, lì dove per circa quattrocento anni c'era stato fervore
di vita, giacciono ora, sotto una sottile coltre di terra, i resti di
quella che fu una splendida zona residenziale di Marruvio, in una zona
aperta e ariosa, piena di verde.
Sto fantasticando? Certo; ma gli elementi di appoggio a tali voli della
fantasia sono parecchi e di notevole valore.
Innanzitutto le foto aeree; abbiamo in fig. 30, la porzione in basso a
sinistra della stessa foto di fig. 3, un po' ingrandita per mettere più
in evidenza la nuova zona archeologica di Marruvio, all'interno del Fucino.
In questa figura si vedono, con notevole evidenza, tracce del nuovo quartiere
di Marruvio verso la nuova spiaggia del lago, che mi piacerebbe chiamare
il Lido di Marruvio (18). E forse,
più che di un solo nucleo abitato, pare che si tratti di due o
tre nuclei diversi, poco distanti tra loro. Se si potessero eseguire altre
foto, con tecniche più adatte e ripetute in diverse condizioni
di terreno, probabilmente avremmo un esempio magnifico di fotoricerca
archeologica.
Ma, oltre alle foto aeree, abbiamo altre conferme, o almeno validi indizi,
sul terreno stesso. In tutta quella zona del Fucino compresa tra S. Benedetto
e la « piccola cinta », sulla sinistra di Strada 22 andando
da S. Benedetto verso Avezzano ci sono numerosi tratti di terreno, a volte
molto ampi e a volte ristretti e ben marcati, in cui i prodotti agricoli
(patate, barbabietole, erba medica e simili) crescono stentati o non crescono
affatto. Con termine locale, questi particolari tratti improduttivi di
terreno sono detti « macréte ». Alcuni casi di questo
fenomeno li ho visti anch'io, nell'estate scorsa, nei mesi di luglio e
di agosto; ma le conferme da parte dei contadini, che hanno terreni nella
zona, potrebbero essere numerosissime e localmente precise. Sono tratti
di terreno sotto i quali sicuramente ci sono resti archeologici.
In questi ultimi tempi il fenomeno si è ridotto, a causa delle
forti concimazioni e dell'irrigazione artificiale; ma in passato esso
era molto più accentuato. Tant'è vero mi è stato
confermato da più parti che all'epoca dell'assegnazione delle terre
dopo la riforma agraria nel Fucino, e cioè intorno al 1952, i contadini
non volevano l'assegnazione dei terreni in quella zona, perché
sterili o comunque poco produttivi, proprio per la presenza delle macrete.
Ma ne abbiamo un'altra conferma in parecchie notizie del passato, ritenute
finora sbagliate o inesatte o fantastiche, ma che invece oggi, alla luce
della nuova scoperta fotografica, acquistano grande valore e sono di una
esattezza e veridicità sorprendenti!
Eccone alcuni esempi (19).
Ignazio Stile, riferendosi agli anni di Carlo III (intorno alla metà
del '700): « In cotal tempo... si videro all'asciutto le ruine della
antica Valerla presso S. Benedetto ». Margarita: « ... circa
la metà del secolo XVIII il Fucino si restrinse tanto che apparvero
le ruine dell'antica Valeria presso S. Benedetto ». Romanelli, parlando
di Marruvio: « Famosa città de' Marsi alla riva del lago
Fucino, ed ingoiata in parte dallo stesso lago ». Anonimo napoletano,
riferendosi al « decrescimento che giunse al colmo nel 1752 »:
« Apparvero allora gli avanzi della sommersa Marruvio presso S.
Benedetto ». De Luca: « Sotto il regno di Carlo III... l'abbassamento
del livello del Fucino superò tutti quelli che avvennero posteriormente.
Si videro scoperte le ruine dell'antica Valeria presso il Comune [! ]
di S. Benedetto ch'è sulla costa orientale... ». Hassert:
« Le rovine di Marruvio che vennero in luce nel ritiro straordinario
del 1752 ».
Addirittura l'architetto Stile, all'inizio della sua Relazione, parla
di « Valeria, Archippe, ed altre città, le ruine delle quali
veggonsi ora sotto l'acqua »! E la stessa straordinaria circostanza
è confermata, oltre un quarto di secolo dopo, dall'ingegnere De
Fazio: « Archippe Marruvio, Valeria e Penne mostrano le venerande
loro rovine sotto le acque del lago». Si tratta qui di due testimonianze
particolarmente significative e degne di attenzione, perché sia
lo Stile che il De Fazio erano professionalmente ben qualificati ed erano
stati inviati nel Fucino con incarichi ufficiali (20).
Qualche anno dopo (1822) anche Afan De Rivera che ebbe successivamente
dal governo di Napoli l'incarico dello spurgo della galleria di Claudio
scriveva che « le città di Valeria, Penne, Archippe ed altre...
ora si trovano sotto il dominio delle acque ad una considerevole distanza
dal lido ».
Ora, noi sappiamo che la vera Marruvio stava grosso modo dov'è
ora S. Benedetto dei Marsi, fuori del Fucino, sopra la parie rialzata
della costa del lago, dove quindi il lago non poteva esserci e da dove,
di conseguenza, non poteva nemmeno ritirarsi. Perciò quelle notizie
e affermazioni sulle rovine di Marruvio all'interno del lago Fucino, noi
le consideravamo fantastiche o perlomeno inesatte; anzi più di
qualcuno ha fatto in passato quasi dello spirito su Archippe « ingoiata
» dal lago . Ed invece ora veniamo a sapere che la stessa Marruvio
o più precisamente un suo quartiere extra urbano fu « ingoiata
» veramente dal lago, fino a cancellarne oggi ogni traccia visibile;
tracce ancora visibili, invece, sott'acqua verso la fine del secolo XVIII,
all'epoca dello Stile, e anche dopo!
Ed ora vorrei far rilevare anche quanto erano esatte quelle indicazioni.
Esse parlano tutte si noti bene di rovine di Marruvio (o Valeria) presso
S. Benedetto, non a S. Benedetto o dentro S. Benedetto, come ci saremmo
aspettati per la vera Marruvio. Quindi si tratta, evidentemente, di resti
e di rovine ben distinte da quelle della Marruvio storica, che finora
conoscevamo. Anche lo Sterlich, che è il primo a parlare dei ritrovamenti
di stante, dice « vicino la Terra di S. Benedetto ».
Osserviamo anche una particolarità che emerge dalle espressioni
usate da alcuni di quegli autori. Chi sapeva bene come il Romanelli e
l'Afan de Rivera che Marruvio stava sulla costa e un po' in allo rispetto
al livello del lago, si sarà trovato forse imbarazzato a dare una
identità a quei resti emersi nel 1752 all'interno del Fucino, poco
lontano dal sito di Marruvio; e si sono tratti dall'imbarazzo per il rotto
della cuffia, con un po' d'astuzia salomonica. Il Romanelli, infatti,
ha scritto: « famosa città... ingoiata in parte dallo stesso
lago»; Afan de Rivera usa anch'egli un'espressione simile: "..
nel 1752 una porzione di essa venne fuori dalle acque". Anche il
Lampani ha risolto 1o stesso problema allo stesso modo, ma con una leggera
variante, scrivendo che quelli erano « gli avanzi della parte inferiore
della città di Marruvio »! Solo l'Hassert identifica quei
resti nel Fucino direttamente coi resti di Marruvio, ricorrendo però
all'artificio di ipotizzare per la città due siti diversi: uno,
originario, nel Fucino; l'altro, successivo, sulla costa, dove sta ora
S. Benedetto.
Ecco, quindi, che avevamo molte indicazioni preziose, ma noi moderni e
"presuntuosi" le ritenevamo almeno inesatte; non siamo sfati
capaci, per tanto tempo, di comprenderne l'esattezza e apprezzare il loro
grande valore!
Io provo, a questo punto, quasi un senso di colpa verso tanti benemeriti
scrittori del passato, ai quali chiedo umilmente scuse per il presuntuoso
giudizio di sufficienza che io, ed altri, abbiamo avuto finora, ingiustamente,
nei loro confronti!
E riprendiamo ora il nostro discorso.
E chiediamoci in quali condizioni si potrebbero trovare oggi i resti del
Lido di Marruvio e in particolare del suo « teatro ».
Pensando a questa domanda, mi è venuto spontaneo un accostamento
a Pompei, perché qui nel Fucino noi abbiamo "si parva
licet componere magnis" una nuova piccola Pompei. Ma in quanto
diverse condizioni!
La Pompei famosa fu bloccata nel giro di poche ore, all'improvviso, e
dei suoi edifici molti si sono conservati in ottime condizioni, perfino
le pitture, perfino il pane! Invece al Lido di Marruvio la morte arrivò
lentamente e gli abitanti ebbero il tempo di portarsi via tutto, prima
di abbandonare alle acque le loro case. E poi le acque, con la loro azione
disgregatrice, devono aver fatto crollare tutto, creando, col materiale
sparso, ampie « macréte ».
Eppure, tra tante rovine, devono pur esserci tracce dell'impianto cittadino,
devono essersi salvate le parti basse degli edifici migliori; le mura
devono essere crollate, ma 1ì, a terra, devono esserci ancora elementi
architettonici, iscrizioni, forse anche altre statue di altri personaggi,
come quelle della famiglia Giulio Claudia, come i busti di Adriano e di
Sabina! E sicuramente ci saranno altre « preziose anticaglie »,
come quelle recuperate nel 1752!...
L'esperienza amara del passato.
Ma vedo che di nuovo la fantasia mi riprende la mano: la fantasia e il
sentimento sono più forti di me! Eppure so bene che la fantasia,
alimentata dallo spirito di attaccamento alla propria terra natale e,
in questo caso, anche da una certa euforia per la bella scoperta porta
a pensare facilmente a cose che poi la realtà spesso smentisce.
Anzi, nel caso specifico di Marruvio, la realtà e l'esperienza
del passato sono fin troppo amare e inducono solo a cautela e pessimismo.
Infatti di Marruvio, la « città splendidissima » dei
Marsi, resta oggi ben poco. La saccheggiarono i barbari, l'hanno squassata
i terremoti, l'ha sommersa più d'una volta il Fucino. Ed oggi lo
dico con profonda amarezza quelle altre poche cose che ogni tanto affiorano
ancora, le continuano a distruggere e le lasciano distruggere i sambenedettesi.
Quando fu costruita la Garbatella (21),
quel cantiere fu un vasto saccheggio. Nel 1969, durante i lavori per la
rete idrica e fognante, fu scavato per un paio di metri di profondità
tutto il corso principale, rompendo muri, spezzando grossi blocchi di
pietre squadrate, frantumando impietosamente mosaici e intonaci dipinti
e altra. Dopo il 1970 fu lottizzata un'ampia estensione di terreni nella
zona archeologica, e lì nuove costruzioni private e pubbliche hanno
provocato altre distruzioni (22).
Nel gennaio del .1974 feci salvare una diecina di pezzi di colonne e una
grande iscrizione (23), usciti da
un ampio scavo per l'ampliamento dell'albergo « Ragno »; ma
altro materiale, il più, era già andato a finire allo scarico
e lì resta ancora sepolto. Un paio d'anni dopo, quello scavo fu
ampliato ancora. Lì vicino, alcuni anni prima, erano usciti una
base e un rocchio di grande colonna, della stessa fattura e dimensioni
di quelle trovate nel '74. Quelli erano evidentemente tutti resti di uno
stesso grande edificio, certamente un tempio grandioso, forse il Campidoglio.
Lì comunque doveva essere il cuore di Marruvio.
Ma la insensibilità delle autorità dell'epoca e la loro
incapacità di vigilare e agire hanno contribuito, unitamente all'interesse
privato, allo scempio più grave ai danni della città principale
dei Marsi.
E nell'estate 1975, per compir l'opera, è stata ricoperta quasi
del tutto anche l'area più sacra di S. Benedetto: il luogo dove
la tradizione dice che fosse la casa paterna del papa S. Bonifacio IV,
dove prima del terremoto del 1915 sorgeva la chiesa benedettina, le cui
pietre, in gran parte vendute per quattro soldi molti anni fa, sono ora
completamente disperse o sotterrate, insieme con una grande iscrizione!
In tanti altri paesi, una piccola cosa antica che trovano, la salvano
e la custodiscono con cura, quasi amorevolmente. A S. Benedetto tutto
si distrugge! .... E nessuno fiata, nessuno interviene di quelli che hanno
il compito di tutelare certi beni.
Ma danni ai resti di Marruvio non li hanno fatti solo i sambenedettesi.
Nel settembre del 1971 cominciarono gli scavi dell'Anfiteatro, per conto
della Soprintendenza. Ci fu subito un grande interesse nella popolazione,
e venivano gente anche da fuori, anche da lontano; per sabato 17 marzo
1979 doveva venire anche una comitiva dell'Archeoclub di Roma. Poi però
i lavori furono abbandonati per tre anni; ripresi nel 1974 e riabbandonati
ancora.
Così quelle strutture, una volta coperte e protette dalla terra
pietosa, adesso sono esposte alle intemperie e rischiano di crollare;
così quello scavo, costato milioni al contribuente italiano, è
ora una putrida fossa per rospi e sterpaglie. Sarebbe stato meglio che
non l'avessero mai toccato l'anfiteatro, anziché ridurlo a quel
modo...
E non parlo poi del modo gobbo e sgraziato con cui è stato ricoperto
uno dei due “morroni”: una vera bruttura. Per fortuna, almeno
l'altro se l'è scampata!...
Ed allora, se tanto mi dà tanto, anche per il « teatro »
e per il resto vedo nero. Ma ripetere ora gli stessi errori e manchevolezze
del passato, sarebbe cosa assolutamente imperdonabile.
Per fortuna, sono passati diversi anni: ci sono oggi uomini nuovi a certi
posti di responsabilità, ci sono anche nuove competenze regionali.
Ci sono quindi condizioni nuove, che lasciano sperare che almeno queste
nuove insperate vestigia di Marruvio possano sfuggire alla misera sorte
degli altri resti della città e che possano rivedere la luce del
sole sotto migliori auspici.
Alle Autorità competenti statali, regionali, locali vorrei ripetere
un invito pressante, affinché prendano subito i più opportuni
provvedimenti per l'accertamento e la salvaguardia di questi nuovi importantissimi
reperti di Marruvio.
Ai miei concittadini, una preghiera di cuore: non permettiamo che si distruggano
anche queste ultime preziose testimonianze della vita dei nostri lontani
antenati marruvini.
Sandro D'Amato "il primo prosciugamento
del Fucino " Centro Studi Marsicani -Avezzano- 1980
note
(1*) La mattina
del 14 aprile 1979 giorno della pubblicazione della notizia su 11 Tempo
il Sindaco di S. Benedetto dei Marsi, ing. Vincenzo Ragliane mi disse,
presenti gli amici prof. Letta e Grossi, che quella zona, dove nella foto
aerea era indicato il teatro, è la zona delle “macréte”,
cioè ampie o ristrette zone di terreno sterile o comunque poco
produttivo, il che dava alla cosa una certa credibilità.
Parlando successivamente con vari amici, ho avuto conferma dell'esistenza
delle macréte anche un po' più verso l'interno del Fucino,
e li in forma più accentuata. Inoltre ho avuto notizie di un altro
fatto, e cioè che all'epoca della assegnazione delle terre ai contadini
dopo la riforma agraria nel Fucino (intorno al 1952), i contadini non
volevano le terre in quella zona appunto per la presenza delle macréte.
Evidentemente, in quel tratto di Fucino, poco lontano da S. Benedetto,
ci doveva essere qualcosa di più che non il solo teatro, come del
resto avevo già accennato nella stessa comunicazione: « ...
vorrei far rilevare che altre al teatro.., in quella stessa zona dovrebbero
esserci numerasi altri resti, come fanno pensare le varie tracce osservabili
nelle foto aeree ».
Questa, che era stata all'inizio quasi una semplice intuizione basata
solo sulle foto aeree e che trovava conferma nelle altre indicazioni di
amici poco fa accennate, trovava poco dopo un'ulteriore conferma da una
seconda foto aerea (la n. 2068 della strisciata 54), gentilmente segnalatami
dalla Direttrice dell'Aerofototeca di Roma, Dr.ssa G. Alvisi, alla quale
esprimo qui i miei più vivi ringraziamenti.
Quando poi, nel mese di ottobre scorso, per completare questa Appendice
e corredarla di note, mi sono messo a raccogliere le varie fonti di cui
disponevo, ho riletto, con mia grande sorpresa lo confesso cose alle quali
prima non avevo dato alcun peso e che invece adesso rivelavano un valore
di attualità e dì eccezionale interesse.
Siamo, evidentemente, di fronte a una sorprendente scoperta archeologica,
con conferme concordi di varia natura e molto precise, la cui importanza
potrebbe essere grandissima, se non ci fosse il timore purtroppo, fondato
delle cattive condizioni di conservazione, sotto l'acqua del lago per
molti secoli, coi resti sgretolati e sparsi. che hanno dato origine alle
finora inesplicabili macrete. Su questo argomento ho pubblicato recentemente
un articolo (D'AMATO [f]; vedi Cap. I, n. 79*). —torna
al testo—
(2) Fu pubblicato prima
su Il Tratturo (Mensile dell'Associazione romana dei Figli d'Abruzzo»),
Anno II n. 8 9; successivamente su Archeoclub, nov. dic. 1972 con la cartina
allegata. —torna
al testo—
(3) Il manoscritto originale
della Relazione del Lolli è in possesso del prof. G. PAGAIAI di
Avezzano, che ne parla diffusamente (Cbl, pp. 353 355).
(4) COLANTONI pp. 250
251 e Tav. VI; ORLANDI pp. 202 203.
Questa pianta dei resti di Marruvio, per quanto schematica e con alcune
imprecisioni, è interessante per due motivi: per l'epoca a cui
risale e per l'indicazione di alcuni resti, di cui altrimenti si sarebbe
persa memoria.
Infatti, secondo la testimonianza del Colantoni, riportata dal Lolli all'inizio
della sua Relazione sugli Avanzi di Marruvio, n l'originale di detta pianta
fu redatto al principio di questo secolo [XIX] dal geometra Gianfrancesco
De Ioris di Aschi e da Giuseppe Melchiorre di Pescina per ordine e sotto
la direzione di Mons. Giancamillo Rossi, Vescovo dei Marsi dal 1805 al
1818 ». Inoltre, in essa « si trovano segnati alcuni avanzi...
affatto scomparsi > al momento del sopralluogo del Lolli (18 aprile
1891).
Considerato che la pianta dell'Orlandi deriva da quella del Lolli, la
quale a sua volta era stata tratta dal libro del Colantoni, dove però
oggi è così mal ridotta da essere irriproducibile, nella
fig. 29 io ho cercato di ricostruire il più fedelmente possibile
il tracciato delle mura e l'indicazione dei resti più importanti
dell'antica città (anfiteatro, teatro, morroni, ginnasio), trascurando
solo pochi particolari quasi insignificanti; invece per le indicazioni,
mi sono svincolato dalle riproduzioni precedenti, indicando direttamente
sulla pianta i nomi dei vari resti, aggiungendo qui le relative descrizioni,
tratte quasi tutte dal Colantoni, come segue.
L'area tratteggiata (in basso, a sinistra) indica il sito dell'allora
villaggio di S. Benedetto, semisommerso dalle acque del lago, che avevano
raggiunto, intorno —torna
al testo—
(5) La lettera è
citata in CIL, IX, 3660; la collocazione presso la Biblioteca Riccardiana
di Firenze è: Rice. 3755, pp. 182 183 (sono « Lettere originali
a Gio. Lami > , Vol. 57, Di Sterlich). —torna
al testo—
(6) Ho consultato recentemente
(19 gennaio 1980), presso il Museo Provinciale Campano di Capua, una pubblicazione
sulle varie statue raccolte nel cripto portico del Giardino Inglese del
Parco della Reggia di Caserta. Ma sulla loro provenienza, l'autore (SMITH,
p. 6) dice solo questo: « ... vecchi personaggi della real casa
mi hanno assicurato, di aver udito da loro genitori, quelle statue esser
venute parte dagli scavi di Pompei, altre dal palazzo Farnese di Roma,
passato in eredità ai Borboni di Napoli ».
Io le avevo viste il 22 agosto 1974, ma ne ebbi l'impressione che difficilmente
tra quelle ce ne sarebbe potuta stare qualcuna di Marruvio, salvo sempre
a verificarlo. Oggi, dai nomi delle divinità e dei personaggi raffigurati
in quelle statue (Venere, Esculapio, Augusto, Commodo, Catone Maggiore
ed altre tre statue femminili) non vedo alcuna corrispondenza o accostamento
ai personaggi indicati dai vari autori per le statue di Marruvio.
(7) Sono molti gli autori
che parlano di questa eccezionale (per abbassamento delle acque e per
durata) decrescenza del Fucino e buona parte di essi indicano il 1752.
come l'anno del più basso livello raggiunto dalle acque; vedi n.
6 seg.
Però, salvo le generiche notizie sulle rovine antiche emerse allora
non lontano da S. Benedetto e sulle statue ivi rinvenute, nessuno di essi
aggiunge un qualche accenno alla profondità delle acque del lago
in tale periodo.
Ora, la mia curiosità di capire di quanto si fossero abbassate
allora le acque del Fucino è diventata sempre più viva,
per cui sono tentato di farne qui una stima, ovviamente con tutti i limiti
e le riserve che una tale stima può avere.
Gli elementi su cui baso la mia stima sono:
a) profilo e quote del lago nel giugno 1861 (BRISSE e Dg Rotrou Tav. IV
degli Atlanti del 1876 e del 1883);
b) tavolette dell'I.G.M. relative alla zona di S. Benedetto, fogli 146,
II S.E. (Pescina) e 152, IV N.E. (Gioia dei Morsi);
c) notizie sui resti antichi venuti alla luce nel Fucino, non lontano
da S. Benedetto, intorno alla metà del XVIII secolo;
d)fotografie aeree di S. Benedetto e dintorni (fig.. 3 e 30).
E per non rendere troppo pesante e lunga questa nota, evito qui grafici
e figure e mi limito ad esporre il mio ragionamento, fiducioso che il
lettore possa seguirmi, almeno nel procedimento. senza eccessive difficoltà.
Dal « profilo » della citata Tav. IV (scala al 20.000) risulta
che nel 1861 la sponda del lago, nel versante di S. Benedetto, distava
2000 metri dall'argine del Bacinetto in corrispondenza, però, di
un punto compreso tra S. Benedetto e Venere, sulla prosecuzione ideale
del canale collettore (lungo il quale, appunto, è stato disegnato
tale profilo).
Noi però dobbiamo esaminare la posizione della nuova zana archeologica
di Marruvio, da dove affiorarono a metà del XVIII secolo quei resti
e quelle statue; perciò dobbiamo spostarci un po' più a
nord, dove la distanza tra la sponda del lago nel 1861 (all'incirca presso
l'attuale statua della « Madonnina ») e l'argine del Bacinetto
è minore, pari a quasi 1300 metri. Per tale motivo, pur considerando.
.la sostanzialmente invariato almeno ai fini di questa stima il profilo
di Tav. IV, nel riportarvi la zona archeologica di Marruvio dobbiamo tener
conto, proporzionalmente, di tale minore distanza.
Allora, passiamo alle tavolette dell'I.G.M. Tenendo presenti le tracce
visibili nelle foto aeree e arrotondando grossolanamente per ovvi motivi
i numeri, possiamo dire che la nuova zona archeologica di Marruvio (e
quindi la zona di affioramento dei famosi resti antichi, visibili nel
1752) si estendeva per un buon mezzo chilometro, dal « teatro »
(distante circa 500 metri dalla Via Circonfucense) fino a quasi 200 metri
prima di arrivare all'argine del Bacinetto.
Riportando poi queste distanze sul profilo di Tav. IV (e tenuto conto
proporzionalmente della minore distanza tra S. Benedetto e il Bacinetto),
la zona dei resti visibili nel 1752 risulta compresa all'incirca tra le
quote 658 e 653 s.l.m.
A questo punto ma è la cosa più difficile e opinabile non
ci resta che dare un valore quantitativo, numerico, anche alle varie espressioni
usate dai diversi autori nelle loro brevi notizie su quei resti. Eccone
alcune. Stile: « si videro all'asciutto le ruine dell'antica Valeria
»; Margarita: « apparvero le ruine dell'antica Valeria »;
Anonimo: « apparvero... gli avanzi della sommersa Marruvio »;
Hassert: « le rovine... vennero alla luce N. Come si vede, sono
espressioni che non permettono una valutazione precisa e sicura. Comunque,
io penso che quei resti dovevano essere ben poco alti già allora,
se oggi all'occhio dell'osservatore non ne appare più nulla.
Non potendo perciò dire più di tanto, cautelativamente mi
pongo nel mezzo, supponendo che parte di quei resti (quelli più
vicini a S. Benedetto, come il « teatro ») erano all'asciutto
e parte (quelli verso il Bacinetto) erano semisommersi, sporgenti dalle
acque, le quali comunque dovevano essere molto poco profonde. Traducendo,
quindi, in numeri questo concetto di compromesso, si potrebbe supporre
che il livello delle acque fosse all'incirca a metà tra i 658 e
i 653 metri di quota, cioè intorno a quota 655,5 s.l.m.
A quest'ultima quota corrisponde, rispetto alla quota zero di riferimento,
la quota 19,82, alla quale corrisponde una profondità delle acque
di m. 5,17. Per cui possiamo dire che verso la metà del XVIII secolo
la profondità delle acque del Fucino si era ridotta intorno a 5
metri o poco più, cioè circa 4 metri più in basso
rispetto alla decrescenza del 1835 (vedi Tabella a Cap. II n. 7).
Ma trattandosi di una stima, con ampi margini di opinabilità, nella
Tabella di Cap. II n. 7, in corrispondenza dell'anno 1752, ho arrotondato
la quota delle acque del lago a m. 20, anziché scrivervi 19,82,
anche se poi, per una operazione puramente matematica, nella colonna delle
profondità del lago ho dovuto segnare 5,35 (= 20 14,65), pur sapendo
che una tale precisione al centimetro non è affatto sostenibile.
A questo punto si potrebbe con 1o stesso metodo che ho usato perle figg.
12 e 22 stimare la superficie del lago intorno alla metà del XVIII
secolo; ma, ai fini di questo studio, sarebbe una curiosità troppo
marginale.
Comunque è senz'altro errata in eccesso la superficie di 145 kmq
che per il 1752 ne dà il SARACINI (tabella a p. 144), perché
era già di 140 km' la proprietà di Torlonia (vedi Cap. VI
n 17), che non fu certo delimitata in periodo di magra, ed era di soli
134 kmq nella decrescenza del 1835 (vedi DE ROTROU [b], p. 84, citato
a Cap. II, n. 7), quando il lago aveva una profondità notevolmente
maggiore (m. 9,41 contro i 5 appena del 1752). —torna
al testo—
(8) Ultimamente il GROSSI
è tornato sull'argomento (p. 149 n. 94) e, riferendosi alla mia
localizzazione del teatro nel Fucino, scrive: « Non condividiamo
però l'identificazione, data come sicura, del teatro fuori delle
mura urbane; il teatro va cercato nell'interno della recinzione muraria
».
(9) Ritengo interessante
l'ipotesi del Dr. FURIO CRUCIANI, l'architetto che sta elaborando il Piano
Regolatore di S. Benedetto.
Egli pensa che potrebbe trattarsi più semplicemente di un grande
bacino (peschiera, forse appartenente alla villa di qualche facoltoso
possidente; e la sua forma ellittica sarebbe consona a una certa preferenza
per forme geometriche, di moda all'epoca di Traiano e di Adriano. Infatti,
di Traiano è noto il « porto esagonale presso Ostia Antica,
mentre di Adriano sano noti a Villa Adriana,sotto Tivoli la piscina rettangolare
del Pecìle e la lunga piscina del Canòpo,terminante in fondo
con un emiciclo ornato di colonne e archi e statue. Come per questa parte
terminale del Canopo, anche una parte semicircolare della « piscina
» di Marruvio poteva essere ornata di statue, per cui, data la sua
forma, potrebbe essere stata scambiata per un K teatro > .
Inoltre, mentre un teatro avrebbe lasciato resti difficilmente nascondibili
del tutto, una piscina, invece, senza grandi strutture, poteva essere
molto più facilmente ricoperta dall'azione delle acque del lago. —torna
al testo—
(10) Raccolgo qui di
seguito le varie fonti di cui ora dispongo, ordinate prevalentemente in
ordine cronologico; così risalta di più la dipendenza di
alcune di esse dalle precedenti. Invece gli autori che parlano del teatro,
li ho raggruppati insieme, in fondo a questa stessa nota.
1) Romualdo di Sterlich (lettera del 3/2/1752): « Vicino la Terra
di S. Benedetto nella Prova dell'Aquila, essendosi fatto uno scavo per
ordine della n.ra Corte, sono state trovate due statue di marmo... Le
statue sono giudicate di buon artefice, e credo che anderanno nel Museo
Reale ». 2) Stile„
p. 36 la col.: « Il Lago Fucino,. inonda le fertili campagne, e
sommerge le terre e le contrade intiere. Valeria, Archippe, ed altre città,
le ruine delle quali veggonsi ora sotto acqua, di un tanto eccidio sono
bastevoli testimonianze... ».
Poi, sempre a p. 36, 2° col. (riferendosi al regno di Carlo III):
« In cotal tempo appunto si videro all'asciutto le ruine dell'antica
Valeria presso S. Benedetto, dae quali vennero tolte parecchie antichità
rare; e specialmente la statua famosa di Agrippina oggi esistente nella
Reggia di Caserta » (A questo punto c'è un rimando in nota,
dove il De Luca rettifica che u oggi è nel Real Museo Borbonico
N). 3) Margarita,
(da MINIERI Riccio, 725): « Alla p. 7 il Margarita narra che circa
la metà del secolo XVIII. il Fucine si restrinse tanto che apparvero
le ruine
4) De Fazio (da MINIERI RICCIO, 722): « ... si ragiona de' danni
che di giorno in giorno [il Fucino] reca a' territori circostanti ed alle
vicine città, tra le quali Archippe, Marruvio, Valeria e Penne
mostrano le venerande loro rovine sotto le acque del lago >. 5) Romanelli,
III, p. 178: « Marruvium. Famosa città de' Morsi, alla riva
del Fucino, ed ingoiata in parte dallo stesso lago ». 6) Hoare,
I, p. 359: « From the ruins of an antique building, composed of
stane and opus reticulatum, several busts and statues were dug up a few
years ago, and conveyed to the Royal Palate at Caserta », cioè
« dalle rovine di un antico edificio, costruito in pietre e opus
reticulatum, pochi anni fa furono estratti alcuni busti e statue, e inviate
al Palazzo Reale a Caserta ». 7) Afan
de Rivera [a], p. 47: « I documenti storici non lasciano alcun luogo
a dubitare che la città di Valeria versa il tempo di Claudio esistesse
fuori del lago. Anche una ben più luminosa pruova di fatto ne abbiamo
dalle statue di Claudio, di Agrippina e di Adriano che furono tratte da
quella città e trasportate nella R. Villa di Caserta, allorché
per lo straordinario abbassamento del lago avvenuto nel 1752 una porzione
di essa venne fuori dalle acque > .
E poi, poche pagine dopo (p. 52): « …Per tali ragioni le città
di Valeria,Penne, Archippe ed altre che verso i tempi di Claudio erari
situate intorno allago, ora si trovano sotto il dominio delle acque ad
una considerevole distanzadal lido ». 8) Brogi
(da MINIERI RICCIO, 855): « ...fa parola anche di alcune statue
rinvenutefra le ruine di Alba e di Valeria sotto il regno di Carlo 3°
di Borbone, che le fece trasportare nel real palazzo di Portici ».
9) Guattani, III, p. 31: « [il Fucino] nel 1752 di nuovo si abbassò
tanto che dalle vestigia di Valeria ossia Marruvium si estrassero statue
ed altri monumenti raccolti nella real villa di Caserta ».
10) Anonimo (R.L.), p. 7 (dopo aver accennato alle « escrescenze
del non frenat lago » e in particolare a quella del 1783): «
Succedeva essa ad un decrescimento che giunse al colmo nel 1752. Apparvero
allora gli avanzi della sommersa Marruvio presso S. Benedetto, e vi furono
rinvenute le statue marmoree di Claudio, di Agrippina, di Nerone, mandate
allora ad arricchire la Reggia di Caserta; oltre ai busti d'alabastro
d'Adriano e di Sabina, con altre preziose anticaglie.
11) Kramer, p. 55: « Mehrere dori ausgegrabene Statuen wurden in
das ktinigliche Schloss zu Caserta gebracht », cioè «
inoltre alcune statue colà dissotterrate sono state portate al
Palazzo Reale di Caserta ». 12) De
Luca, p. 25: « Sotto il regno di Carlo III... l'abbassamento del
livello del Fucino superò tutti quelli che avvennero posteriormente.
Si videro scoperte le ruine dell'antica Valeria presso il Comune [!] di
S. Benedetto ch'è sulla costa orientale, quasi di rincontro all'apertura
dell'emissario del lago; e da esse furono tratti vari monumenti antichi,
fra' quali la statua di Agrippina, tenuta a modello
di scultura, che ora si ammira nel Real Museo Borbonico > .
13) Geffroy, p. 2: «..les fouilles pratiquées à Marruvium
en 1752, gràce à une baisse considérable du lac,
ont donné, entre autres objets de valeur, les statuesde Claude,
d'Agrippine et de Néron, transportées alors au beau chàteau
que le roi il faisait pendant cette année méme construire
à Caserte, et depuis au musée de Naples .14) Lamponi, p.
4: « Nel 1752 l'abbassamento fu così grande da far emergere
gli avanzi della parte inferiore della città di Marruvio . 15) Brisse
De Rotrou [b], I, p. 274:« Nel 1752 emersero gli avanzi dell'antica
Marruvio, ove negli scavi furon rinvenute le statue di Claudio, d'Agrippina
e di Nerone adolescente; e buona quantità d'altri oggetti, che
furon spediti ad abbellire il palazzo di Caserta e poi il Musco di Napoli
». Vedi anche [al, p. 151. 16) Hassert,
p. 15: « ... sopra le rovine di Marruvium che vennero in luce nel
ritiro straordinario del 1752, s'innalza la borgata di S. Benedetto, essa
pure danneggiata dalle piene. La posizione di Marruvium mostra in pari
tempo che all'epoca romana il Fucino era molto più piccolo di come
si presentava poco prima del prosciugamento. Giacché l'antica capitale
dei Marsi dovette evidentemente essere fondata quando le acque non avevano
ancora invaso il suo suolo; e la migliore idea della superficie che il
lago occupava la dà, forse, l'estensione del 1752 ». E a
p. 16: « Nel 1752 il Fucino toccò il livello più basso
e si restrinse talmente in se stesso che le parti più basse del
fondo del bacino lacustre, le quali precedentemente e di poi mai furono
visibili, si trovarono all'asciutto e poterono coltivarsi ». 17) Letta
D'Amato, pp. 84 92, a proposito dell'iscrizione dedicata a C. Rubellio
Blando; vedi n. 8 seg. 18) Di
Pietro, pp. 16 17: « ... negli avanzi del teatro... allo scorcio
del secolo passato furono rinvenute le dodici statue di marmo che formano
adesso il più decoroso ornamento del palazzo reale .di Caserta
». 19) Fernique,
p. 75: « Traditum est decimo ottavo saeculo vestigia theatri reperta
fuisse inter quae duodecim statuae marmoreae jacebcznt, quue in regium
Casertae translatae sunt; ubi situm fuerit hoc tYreutrum non patet »;
cioè « è stato tramandato che nel secolo XVIII furono
trovati i resti di un teatro e che tra essi giacevano dodici statue di
marmo, che sono state trasferite alla Reggia di Caserta; dove però
fosse questo teatro non è chiaro ».
20) Colantoni, Tav. VI, 3: « Teatro, ove furono rinvenute, nel secolo
scorso, le dodici statue trasportate a Caserta ».
21) Lolli, (IV, Teatro): « Le dodici statue, fra cui quella di Claudio,
di Agrippina e di Nerone che tornate alla luce nel 1752 furono mandate
ad adornare la Reggia di Caserta, si rinvennero fra gli avanzi del teatro
di Marruvio. Il sito che ora la tradizione indica come quello ove furono
scoperte le statue succennate trovasi nell'interno dell'attuale abitato...
». 22) Orlandi,
p. 197: « Teatro. Le dodici statue che, tornate alla luce nel 1752,
furono mandate ad ornare, otto la Reggia di Caserta e quattro il museo
Nazionale di Napoli, si rinvennero fra gli avanzi del teatro di Marruvio
». E a pag. 192 porta questa strana spiegazione: « Per effetto
di questi bradisismi, per depressione e successivo risollevamento del
suolo nel 1752 rivennero alla luce dodici statue di personaggi di casa
imperiale, che adornavano l'anfiteatro [! ] di Marruvio ».
( 12 ) LETTA- D'AMATO,
pp. 84 92.
Il commento però è m parte fondato sul presupposto che il
teatro di Marruvio fosse come indicavano il Colantoni, il Lolli e l'Orlandi
nella stessa area dove fu trovata, nel 1938, l'iscrizione. E tutto il
discorso portava a « pensare che... quando la famiglia marruvina
degli Octavi Laenates si imparentò con quella di Rubellii Blandi,
venisse eretto un gruppo di statue dei più illustri Rubellii accanto
a quelle dei loro imperiali parenti precedentemente innalzate nel teatro
di Marruvium » (p. 88). È chiaro, quindi, che ora qualcosa
va rivisto. —torna
al testo—
(14) Ecco come la descrive
il RUESCH (p. 235, n. 977/6029): « Statua di matrona sedente...
Molto si è discusso intorno a questa figura, di cui ci limiteremo
ad ammirare l'arte squisita onde sono ritratte le vesti e modellate le
parti del corpo, specialmente il petto e le spalle. La donna rappresentata
accusa l'età di circa cinquant'anni ed ha sul volto un'espressione
di dolce tristezza. Fu creduta da alcuni Agrippina, moglie di Germanico,
da altri Agrippina, madre di Nerone »
(17) In tutta quest'Appendice,
ma in questo capitoletto in particolare, ci sono parecchie vistose ripetizioni
di cose dette già altrove (per esempio, poco prima della fine dei
Capp. I e VI); ma ce le ho lasciate egualmente per dare all'argomento
uno svolgimento completo e a sé stante, evitando i rimandi, che
distoglierebbero l'attenzione e l'interesse del lettore.
(18)Come dirò
tra poco, nel passato alcuni autori si sono trovati, forse, in difficoltà
a dare una indicazione toponomastica ai resti affiorati nel Fucino, non
lontano da Marruvio; qualcuno li ha indicati come una « porzione
» o anche la « parte inferiore » di Marruvio. Ed allora,
un po' pensando a questa difficoltà e al fatto che tali resti stavano
verso la nuova spiaggia del lago, e un po' indulgendo alla fantasia, mi
è venuta l'idea di chiamare questo sobborgo di Marruvio sul lago...
Lido di Marruvio!...
(19) I relativi testi
sono citati nella n. 6 preced. —torna
al testo—
(20) BRISSE DE ROTROU
Cal, p. 56: « Fortunatamente, c'era allora a Napoli un ingegnere
idraulico di gran valore e la cui elevatezza i vedute e di sentimenti
era grande come le sue conoscenze; l'ingegnere Ignazio Stile fu incaricato
dal Governo di recarsi in quei luoghi e di studiarvi la questione, così
importante, dello scolo del Fucino». —torna
al testo—
(21) È la denominazione
di un quartiere di case popolari di S. Benedetto. —torna
al testo—
(22) GROSSI, p. 121:
« Si occupa e si distrugge con un'opera di forsennata attività
edilizia, il suolo del più grande municipio marso, Marruvium ». —torna
al testo—
(23) LETTA -D'AMATO,
pp. 93 98: è l'iscrizione dell'horologium.
marruvium , san benedetto dei marsi,aquila, l'aquila,
archeologia, scavi archeologici , comune san benedetto dei marsi , marsica ,
ritrovamenti, storia, notizie storiche