Emilio CERASANI
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Emilio Cerasani

Da " DIO NON CI LASCIA MAI SOLI"

Era un bambino di quattro anni quando all'improvviso in apertacampagna di primo mattino, me lo trovai dinanzi, denutrito e stanco. Lo vedevo spesso errare per le strade deserte del paese, smarrito e solo come il "cucciolo" di Rolling. A ben riflettere, ora anche l'immagine chiara mi ritorna nella mente, negli occhi di quel bambino si leggeva, senza alcun ripensamento, il tormento e I'ansia di saper qualcosa della sua vita inquieta che gli rodeva dentro. Un logoro grembiulino copriva il suo gracile corpicino. I piedi ignudi immergeva di tanto in tanto nell'acqua chiara d'un ruscello che scendeva allegro dalla vicina montagna di Pescina.
La mamma solo a tarda sera rivedeva: usciva alle prime loci dell'alba la povera vedova, con gli altri due figlioletti di sette e dieci anni, per recuperare quel poco che ancora rimaneva dell'immane terremoto che semino morte e sgomento nella Marsica intera. Il ricordo di quel triste giorno del 13 gennaio 1915, è sempre vivo nel cuore e nelle carni degli scampati. Nella stessa fila di baracche dimore dei terremotati, accanto a quella del Nostro, abitavano due sartine di Vittorito Marietta "la ciuppetta" e sua sorella Evelina, stimate e buon vicine. Di fronte nella baracca "romana" abitava la famiglia di Liberato DI Genova meglio noto col nomignolo "Ciuppit" uomo temperato e saggio, molto stimato e da tutti amato.
La prima vestizione del Nostro
Abbiamo richiamato questa memoria per consentire al lettore di seguire piu da vicino l'atteso incontro della prima vestizione del nostro piccino che la mano ci prende teneramente, e ce ne scusiamo sinceramente, chiedendo "venia": proprio nell'abitazione di fronte in piedi sul tavolo della sala da pranzo, impettito e fiero come un guerriero quel pensoso bimbo, indosso l'abito fastoso si fa per dire: la giacca gli andava a pennello, i calzoni un po' meno, gli scendevano fin sotto le ginocchia se ne doleva con se stesso. Neppure condivideva l'altra moda della "pannozza" mortificante soluzione, ignominiosa offesa di ogni ragione. Il tempo della prima comunione si approssimava: bisognava seguir il corso della dottrina cristiana: la Chiesa si sentiva infatti piu vicina al "credo". Anche all'esterno l'umile casa di Dio s'illuminava al meglio. In alto al confine di una selva di baracche che si estendeva ove primamente l'antica capitale dei Marsi, "Marruvium" dominava, svettava una chiesetta che nella fantasia degli scolari delle prime classi elementari, signoreggiava a tal segno per bellezza e grandezza da umiliar persino la chiesa di S. Pietro.

L'umile edificio religioso era sorto senza pretese in fretta, per assistere i fedeli quando dai campi ritornavano di sera per ritrovarsi insieme, nell'ora della preghiera.
La chiesa era stata edificata con to stesso materiale delle baracche, con "tavelloni" e lastre di "ardesia".
Col passare del tempo, reggeva a stento alle intemperie e massimamente alle raffiche di vento che la facevano scricchiolare dalle fondamenta, da capo a piedi.
La chiesa di S. Giuseppe era il modesto tempio del paese Il parroco di nazione veneta era un sant uomo, buono e paziente. Si chiamava Don Giuseppe ma in paese era noto col nome di "Scarpa sciota" per non aver cura veruna dei lacci dells scarpe...
La chiesa era dedicata a S. Giuseppe dal titolo della Chiesa la gente riteneva che il sacro tempio fosse di proprieta di Don Giuseppe...
La chiesetta si distingueva dalle baracche da una gradinata esterna, dalla croce di legno che svettava sul frontespizio e da un traballante campanile, ai piedi del quale era un ingresso che immetteva alla sagrestia, una specie di scansia.
All'interno. L'altare s'imponeva per cosi dire, adorno ai lati da due grandi ceri. Poche panche, alcune sedie e qualche sgabello costituivano le suppellettili.
Durante l'ultima settimana di quaresima sotto il verde ammanto. Nell'ombra avvolto era un sepolcro mesto e raccolto: sublime momento di meditazione, di dolore e di resurrezione! Era la Pasqua di Resurrezione del 1919.

"IL TERREMOTO DELLA MARSICA DEL 13 GENNAIO 1915, 30.000 ABITANTI SEPPELLITI IN POCHI ISTANTI!"

Poche volte nella storia di tutti i tempi, si è riscontrata una sciagura cosi orrenda come quella che si abbattè sulla Marsica in cui si videro divelte dal suolo, con inaudita violenza, fiorenti città popolosi paesi, villaggi, insigni opere d'arte per cui eravamo ammirati dagli stranieri che qui venivano e portare il contributo della loro ammirazione e dei loro pensieri. Pochi secondi furono sufficienti per far sparire intere popolazioni, fiere e laboriose, che abitavano le contrade piu ubertose della nostra regione. La violenta scossa che avvenne alle ore 6.52'43" di mercoledi, fece sobbalzare la terra dei Marsi che incominciò e tremare assieme e tutte le montagne circostanti, e tal segno, da far temere che fossero sul punto di crollare i cardini stessi del mondo intero. Le case non ebbero piu nome, ma un ammasso di macerie su cui si alzava un denso polverone giallastro di calcinacci, sotto cui si spegnevano tante umane esistenze anelanti alla vita...
Invano i genitori attesero i figli al caldo abbraccio, invano i figli attesero il sorriso dei loro cari, gia avvolti nel silenzio gelido della suprema maestà della morte!

II PUNTATA

Quattro anni dopo, nel 1919 nello stesso paese, ebbero luogo due importanti avvenimenti: l'apertura dell'asilo d'infanzia, e il matrimonio in seconde nozze, della mamma del Nostro.
Il nuovo giorno si annunciava nebbioso, alcune gocce sulla finestra segnalavano la imminente pioggia. In piedi, davanti al lettino del bimbo aspettava impaziente l'assistente dell'asilo. Sembrava una educanda appena uscita da un istituto religioso, timida e dubbiosa. Si chiamava Donna, abitava nella baracca di fronte alle sartine, nei pressi della chiesa diruta di S. Sabina. Era sposata da poco ad un benestante del paese, dall'aspetto grossolano, ma bonario che, con riverito nome, tutti chiamavano Dottore. Titolo che gradiva molto, mentre assumeva l'aria di cattedratico vero.
Quando la domenica mattina si recavano alla messa, la sposina sembrava la copia fedele della romantica "Madame Bovary", col rustico marito accanto, medico di campagna ambedue contesi dalle correnti letterarie del momento, ma tiravano avanti chiudendo un occhio e, talvolta, tutti e due per evitare danni alle "romanticherie" e ai "guadagni"... Il ruolo di assistente, e lei non si addiceva, ma si appalesava chiaramente: soffriva molto pei suoi allievi che compiangeva soprattutto per la tirannia, prigionia vera del pensiero! Le ore passavano severe e lente: la vita si avvertiva dallo sbadiglio. Neppur le mosche che nereggiavano le pareti si sentivano ronzar - era vietato severamente parlare: per alzata di mano si accedeva al bagno quando "per grazia ricevuta", il permesso veniva concesso. Dopo la solita merenda che con la nausea terminava, le rimanenti ora trascorrevano e dormire, per modo di dire, con la fronte incollata sul leggio. Eppur, nel corso di quell'anno, nuovo destino si apriva ai popoli in cammino con questi capolavori:
- La fattoria degli animali;
- Gli amanti dell'Orsa Maggiore;
- Le stelle stanno e guardare;
- La collina dei conigli;
Persino i conigli uscirono all'aperto e trasmettersi il "vissuto", per meglio vivere il futuro...

Spesse volte, nella vita si da il caso di confidare ad altri il nostro stato d'animo per problemi ansie e tormenti che non sapremmo mai risolvere da soli e rimandiamo ogni decisione e migliore occasione.
Per siffatto modo di considerare le cose, ci rimettiamo alla sensibilita di amici, parenti e vicini che hanno particolarmente e cuore il nostro destino.
Considerazioni piu impegnative sono quelle che si riferiscono all'eta della maturazione e della ragione. E il caso delle tante ipotesi che si affacciano alla mente quando si fa largo l'idea del matrimonio e delle alternative da valutare per non andare incontro e seri guai.
Per certi versi, il matrimonio è un'avventura: l'assillo si fa sentire maggiormente in età adulta quando per ovvie ragioni, si vuol tornare e nuove nozze.Il principio è piu che mai condivisibile, ma si devono dare circostanze valide per arrivare e soluzioni buone. Nel caso del Nostro si e verificato un vero e proprio miracolo, soprattutto per l'innata assennatezza, intelligenza e bonta dei ragazzi chiaramente illuminati: una vera assise di alti intenti che han risolto problemi difficili, incredibili!...
In una baracca di terremotati sono state poste le basi di quell'incontro ma per il dolore, al Nostro gli piangeva il cuore! Pochi intimi si notavano nella circostanza: la zia Alessandra col marito, scesi con la biga da Pescina, una cugina, Annetta moglie di Donato il Barbiere, e alcuni vicini di casa. Fuori, davanti all'ingresso faceva ressa un gruppo nutrito di ragazzi che reclamavano omaggi d'occasione come vuole la tradizione. Non si conoscevano i confetti: tenevan luogo dei "bonbons", le "spose" semi di granturco abbrustoliti alla padella, dalla cui cottura venivano fuori i noti "pop-corn" che oggigiorno, si vendono in tutti i negozi, in buste di "nylon". Dal color bianco-rosa delle "spose" e derivato, forse. il vecchio adagio: "E bianca e rosa come una sposa!".
Alla fine della nuziale cerimonia ognuno riprendeva la sua abituale occupazione con rinnovato ardore nei saldi principi di cristiano amore.

IV PUNTATA

Qualche anno dopo, si videro spuntare nei centri nevralgici del paese i primi cantieri: incominciava la ricostruzione per i diseredati terremotati. Frattanto, per l'accresciuto nucleo familiars, veniva assegnata al "Nostro" una baracca un poco piu grande. Era situata di fronte al monumentale tempio di S. Sabina. risalente nell'attuale struttura al X-XI secolo, ma, come cenobio, fin dai primi due secoli dell'Era cristiana, era presente. Nei pressi, resisteva al tempo uno chalet dimora che fa bella mostra di se adibita ad abitazione della "mammina" ostetrica del luogo. La nuova baracca si componeva di un ingresso con cucina annessa di due camere e uno sgabuzzino, che dava su un ampio cortile ove sorgeva una comune latrina per tutto il caseggiato ma che ciascuno rifuggiva di usare per assoluta mancanza degli indispensabili igienici servizi.
Nell'appartamento accanto dimorava un bravo sarto che si faceva notare per serieta ed eleganza "arbiter elegantiarum", Svetonio, sembrava: giovane, bello e di gentile aspetto indossava, con raffinato garbo, una giacca blu, e doppio petto. Due anni dopo, quell'appartamento fu destinato come farmacia, allo "speziale" Don Giovanni Tarquini.
In quella farmacia, una domenica mattina si presento un bambino, col mignolo della mano destra appeso ad un fil di pelle, tranciato dalla scure di un maldestro spaccalegna. La cicatrice ancor si nota di quel dito, che fu ricomposto dallo "speziale'
Piu in la, verso sud-ovest, prima della piazzetta, ove sotto la pensilina dell'Ufficio Postale si radunavano durante l'inverno i filosofi del luogo, avvolti nei loro mantelli neri col naso rosso tremanti dal freddo, si apriva un sodalizio agli sportivi del "foot ball" la locale squadra calcistica "Marruviana", fondata da soci di tutto rispetto e da calciatori di cui si ricordano i norm e loro sportivo ardore.
Gli incontri si disputavano in campi improvvisati, su "terra battuta". Non si conoscevano i tappeti erbosi, allora ne le tribune ne le gradinate. I calciatori non erano stipendiati, ma con pochi spiccioli venivano ricompensati,e qualche premio di partita a titolo di incoraggiamento quando si conseguivano risultati di gioco apprezzabili e di buon taglio.
Si videro spuntar come funghi, in quei lontani anni, squadre rionali di calcio che si cimentavano davanti alle case nei piccoli spiazzi, lungo le strade polverose con palle di pezze resti di calze e di quant'altro, avvolte con lacci strappati alle scarpe nuove, senza pensarci due volte.
Tutti praticavano il "football" con qualunque tempo Ne parlavano con entusiasmo acceso giovani robusti e forti, veri cavalli da tiro e uomini sposati davanti allo "chalet" ove si dannavano agiocare a denari con le carte, alla fine della giornata di lavoro, dopo aver accudito gli animali, in attesa della frugale cena, mentre i piu piccoli si rincorrevano affannosamente a "nascondino" oppure a giocare e "zompacavallo", prima del cadere del sipario, a sera. I piu piccoli erano costretti dai piu grandi ad azzuffarsi, senza alcun motivo, e darsele di santa ragione, senza risparmio per i colpi bassi... la commedia terminava cosi in quei lontani di...


V PUNTATA

Fugace immagine degli anni "venti" in un terremotato paese della Marsica alla fine del primo conflitto mondiale del MCMXVIII
Era la legge ferrea per tutti: pane e lavoro non mancavano, ma bisognava ciecamente obbedire, senza recalcitrare; I'ordine era dato: "Chi e dentro e dentro, chi e fuori, e fuori!". Le strade Bran deserte, squallide e fangose. II sisma aveva livellato ogni cosa: solo macerie si vedevano e totale abbandono! La miseria regnava dappertutto, si toccava con mano anche il silenzio e la solitudine si tenevano per mano...
La fame si leggeva nei volti scarni! Se la pancia reclamava per fame, la panacea era: "Strofinila contro il muro, ti passerà". Quando il dolore piu fitto si faceva: "Vatti e gratta, il pane sta la"...
II pane, bianco non era ma di coloro oro scuro, noto cot nome di "parrozzo" (pane rozzo), confezionato con farina di granturco, duro come un "accidenti" quando finiva sotto i denti, qualche giorno dopo la cottura.
Ed ecco spuntar allora altro dolor, il mal di dente, sempre piu dolente "ore e momento . Un continuo tormento che neppure i concla-mati farmaci di famiglia, aglio, cipolla e sale da cucina, riuscivano e calmare. Il consiglio dei piu esperti omeopatici della medicina del tempo, di fronte al loro insuccesso decidevano di far ricorso ai santi protettori con-tro il mal di denti, e S. Donato di Castel d'Ieri oppure e S.Domenico di Cocullo, ove si suol tirare, a denti stretti la miracolosa catenella contro ogni mal vigile sentinella. Dopo aver tanto peregrinato ora a Cocullo ora e Castel D'Ieri, oggi il Nostro si ritrova senza dolor e senza denti!
E come dire, in dialetto: "Scauz' nud" e mort'd'fame".
Tempi difficili e duri per tutti furono quegli infausti anni. Come nelle caserme militari, gli ordini venivano eseguiti a suon di squilla, nelle scuole, obbedire si doveva a suon di campana. Al suon di campana, all'osservanza dell'orario nelle scuole, nel paese del Nostro, era addetta l'unica bidella del plesso scolastico, chiamata "Barbanera", la quale davanti al portone d'ingresso, si faceva puntualmente trovare, con aria intrepida a regolare l'entrata delle scolaresche che "sfilavano" senza fiatar come nelle scuole militari. Assolto questo compito, si "piantava" davanti alla latrina a regolarne l'ordine e la disciplina. Nelle classi, dopo la rituale preghiera, seguiva l'appello che sottraeva alla lezione una buona mezz'ora. Le scolaresche particolarmente pletoriche sottraevano tempo alla lezione: "Ecco la ragion che la ragion nol consente"...
Le pareti erano spoglie, però non mancavano le simboliche figure,guida dei popoli: il crocifisso, al sommo della cattedra e i "quadri" del capo del Governo e dei regnanti d"Italia. Gli strumenti indispensabili alla vita scolastica erano nuovi di zecca appena usciti dalla fabbrica. Non si conoscevano attaccapanni, armadi a muro e tanto meno porta ombrelli perche ognuno era candidato dalla nascita e "vivere vitam" da poverelli!... Ad alimentare I"unica stufa per il riscaldamento, ogni alunno doveva provvedere con un pezzo di legna...


VI PUNTATA

L'inverno era lungo e freddo: la volta del cielo era una continua danza di bioccoli bianchi: uno spettacolo grande, un incanto che soggiogava tutti, ma soprattutto gli agricoltori, legati all'antico adagio: "Sotto la neve pane senza la neve fame" donde traevano buoni auspici per il raccolto del grano.
Come sono cambiate da quel tempo le stagioni dell'anno!
Allora, la neve cadeva fitta ed abbondante: spesso scendeva lenta, ma quando si levavano i venti che sibilavano lugubremente a seconda dell'insultar dei nembi, era un inferno.
Quando imperversava la tramontana che violenta e gelida usciva dalle gole dei monti, con urla assordanti, bisognava rifuggiarsi e tapparsi in casa senza tentennamenti: la bufera tempesta bianca, mozzava il respiro accecava senza scampo, e raggelava il sangue nelle vene.
Dopo le festivita di Natale e Capodanno, quando le scuole riaprivano i battenti, si affondava nella neve alta un metro.
Davanti all'ingresso dell'edificio scolastico, anche se sollecita e puntuale, nessuno più riconosceva la bidella "Barbanera", da capo a piedi, era interamente bianca, tanto da rassomigliare a "Biancaneve".
Nonostante la stufa a legna nelle aule si battevano i denti e tal punto da non poter scongiurare la "tremarella", una specie di "delirio tremens', un vero e proprio "casus belli" tra denti di sotto e quelli di sopra; non c'era verso di poterli liberare da quella feroce stretta!... Fuori dalla scuola, con maggior veemenza riprendeva la "tremarella".
Mosso da pietà, talun ne chiedeva la causa, e subito si vedeva correre a gambe levate, per riparar nella piu vicina siepe.
E, quando tal'altro insisteva per saperne un tantino di più, si rispondeva che il fenomeno era dovuto alla "guerra fredda" che proprio non ci voleva, ma si rassicurava per fugare ogni malignità, che le cose sarebbero presto tornate alla normalità. Correva la voce, infatti, che l'Amministrazione Comunale aveva preso in seria considerazione il delicato problema, che sarebbe stato risotto in quello stesso giorno, con procedura d'urgenza...
L'indomani, disatteso il provvedimento, le scolaresche si presentavano compatte a riscaldar la scuola per beneficenza, senza alcun compenso.
Rimaneva, ora, da risolvere un annoso problema: bisognava esautorare la pecora nera, che deteneva la ragion con la "bacchetta" che faceva rintronar sulla testa di chi non sottoponeva al suo volere.
Avrei tanto voluto domandar al maestro quale ne è stata la sorte, sulla terra, di quella bacchetta".
Naturalmente più nulla egli or saprà di quella persuasiva autorità. La cosa, ad ogni modo, riguarda la repubblica degli uomini, e non l'aldila! E vero: "Tempi nuovi, bacchetta nuova!'.
La borsa di cartone pressato, molto leggera conteneva il sussidiario e due quaderni: uno e righi e l'altro e quadretti, un'asticciola (fusto) ove s'innestava come al fucil la baionetta e un pennino e "conocchia" che non era tanto utile e scrivere quanto e far scarabocchi...
Un tozzo di pane duro di farina di granturco costituiva la merenda che faceva scricchiolar tutti i denti!
L'umile borsa relegata in soffitta è finita per sempre.
Lo zaino per la scalata in montagna oggidi, e d'uso corrente: ripieno di libri di lettere antiche e moderne di vocabolari, quaderni, diari penne biro, album matite, pastelli e pennarelli per acquerelli. Una vera e propria bancarella ambulante come quelle che andavano in giro per il paese, tanti anni fa, e vendere alla povera genre "aghi, spille, specchi e occhiali per i vecchi".
Ma il pomposo zaino multicolore, oltre e rappresentare esteta scienza, è anche ambito posto di ristoro in montagna, dove nei segreti meandri puoi trovare appetitose merende fragranti che fanno sobbalzar lo stomaco all'istante. Al finir del giornaliero lavoro di Scuola, ognuno si riversava per istrada e giuocare a pallone, confezionato con i resti dei calzoni alleggeriti, anzitempo, dell'intera gamma dei bottom per giuocare e "battimuro".
Al cader della notte ognun rientrava e casa, in punta di piedi come can randagio, ma lieto di averla fatta franca, al letto si rifugiava sudato e stanco.

VII PUNTATA

Sono frequenti e ancor dolenti i ricordi degli anni "Venti", al ritorno dai campi della nostra gente, in qualunque stagione dall'alba al tramonto sotto il sole, la pioggia la neve e il vento in balia del tempo.
Nel paese si rientrava a tarda sera: ignuda era la casa, sulla soglia ciascun si riposava stanco. Le mamme, infaticabili, davan mano alle "strecce", alle "pettinesse" (pettini) e "all'olio petrolio" con la tovaglia bianca sulle ginocchia a liberar i figli dai pidocchi...
Dalla fame ognuno si difendeva, come meglio poteva: pretese, allor, non se ne avevano, ne si conoscevano. Le botteghe (negozi), vendevano a credenza (credito), sarache cariche di sale, consumate, scarne, e pochi altri generi alimentari che neppur si conoscevano, "ne si degnavano dun guardo!"...
Mezzi di locomozione non esistevano, con le gambe ciascun si aiutava o sul dorso dell'asino pensoso compagno di viaggio, paziente e saggio. Qualche bicicletta incominciava a vedersi in quegli anni in cui le scuole di Stato, per la prima volta aprivano i battenti.
La carestia era ovviamente onnipresente!
Gli elemosinanti, a frotte, bussavano alle porte con voce lamentevole e lenta: "Fate l'elemosina per carita e per amor di Dio!".
Con la bisaccia sulle spalle continuavano a bussare di porta in porta da mane e sera, con voce supplichevole, per risvegliarsi all'alba, al primo angolo di strada, con gli occhi spenti...
Frattanto, la serie dei bimbi, e "bizzeffe" cresceva nelle case spoglie: i loro nomi si confondevano, e allorquando se ne chiamava uno, si presentavano tutti...
Quando nasceva un figlio in quelle squallide dimore, era festa grande. Ne sanno qualcosa le "mammine" (ostetriche, levatrici del tempo), alle quali venivano riservate, del pollaio, le migliori galline, cotte alla "pignata" con acqua e sale in brodo, oppure nella "terrina" alla "cacciatora". Ma la coscia della gallina, in qualunque modo cucinata, era riservata, esclusivamente alla "mammina- che, nella particolare circostanza, diveniva comare e madrina. La mammina non era mingherlina, come puo sembrare e tutta prima ma robusta e forte come un toro, quando entrava in casa lei, entrava sicurezza e gioia, entrava la gloria!


VIII PUNTATA

Durante l'inverno, nelle lunghe ore della sera, quando la famiglia si raccoglieva davanti al focolare, dove la fiamma si animava e riscaldar la casa, un diffuso tepor si diffondeva, e frenar l'irrequietezza e l'ansia ad uscir dalla tristezza. La fiamma, compagna della vita, si agitava di tanto in tanto, e ridestar memorie e avvenimenti dei lontani tempi, quando Marruvium, capitale dei marsi, celebrata da Aulo Gellio. Appiano Alessandrino e da tanti altri scrittori latini, era famosa ed illustre città simile a Roma. Ma della sua chiara e passata gloria, più nulla restava, e neppure dei suoi insigni monumenti: dei teatri anfiteatri, Belle grandiose statue della sede delle vie imperiali, dei fori e templi cristiani che fascino grande esercitavano ed illuminavano la mente delle molte genti. Ora, nulla restava più della sua luminosa storia! Poche e disperse pietre si vedevano adornare i sedili delle case, e alcune mutili colonne di un antico tempio cristiano, ove primamente ebbe i natali Bonifacio IV che tenne il soglio pontificate della chiesa di Roma dal 608 al 615, e il frontespizio della meravigliosa cattedrale di S. Sabina martire cristiana votata e Gesù e nulla più.
Dai pochi abitanti scampati al terremoto del 1915, che rase al suolo l'intera Marsica, solo di alcuni mulini per macinare il grano si sentiva parlare: del Mulino di "Civita", della "Muletta" e di quello che sorgeva tra l'anfiteatro romano, risalente al tempo di Claudio e l'Episcopio, dove confluivano le acque del flume Giovenco nella localita che in vernacolo era chiamata: "Loche" Locus, donde luogo destinato alla preghiera e al raccoglimento, termine che trova riscontro in tante altre città e comrade della Regione, visitate da S. Francesco durante le sue peregrinazioni, in compagnia di Frate Leone.
Ricordano, infatti, le cronache che il poverello di Assisi mentre era ospite della Diocesi dei Marsi (S. Benedetto dei Marsi), nel 1217, mosso da pietà per una vecchietta intorpidita e tremante dal freddo si tolse il mantello e lo dono alla poveretta. Altrettanto fece frate Leone, con sintonia d'amore.
Ma torniamo, ora, alla piu recente storia.
I terremotati, dopo inenarrabili sofferenze che li videro passar dai giacigli all'aperto ai pagliai con i topi addosso, trovarono alfin rifugio nelle baracche ignude e fredde e battere i denti.
Le strade deserte e fangose erano disseminate di pozzanghere, ove brulicavano vermi ripugnanti. Solo qualche bimbo come can randagio si aggirava intorno e quelle dimore vuote, con poveri cenci addosso che non riuscivano e coprir neppure certe nudita certe vergogne... Frattanto il Nostro, e malavoglia, doveva affrontar, nella diruta cantina, ai piedi del paese l'ineffabile compare Franchino, incallito bevitore di vino che si faceva ammirare per il modo come bravamente riusciva e tracannar senza le labbra toccar, e "garganella" come a miracol mostrar!


IX PUNTATA


Le scuole elementari degli anni "Venti" erano oltremodo affollate da sembrare vere e proprie scuole reggimentali sotto la guida di insegnanti rientrati dal fronte di guerra col grado di capitano o di tenente. Nell'aria si sentiva odor di caserma e se ne aveva la prova lampante davanti all'edificio scolastico dove operar si vedeva rapida e sicura, come militar di carriera, l'intrepida bidella del paese l'eterna "Barbanera.
Ogni classe era una festosa fiera multicoloretrono di duestagioni:infanzia primavera.
Gli anni trascorrevano e forse senza particolari affanni. Nessuno sapeva o immaginava cosa fosse il patema d'animo, alla chiusura delle scuole, alla fine dell'anno.
Le classi erano pletoriche formate da allievi di ambo i sessi: fino a sessanta le diverse voci rispondevano all'appello. Non tutti si conoscevano tra loco all'inizio dell'anno, spersi e sparsi nei piu diversi punti del paese nuovo e della "Cittadella", il paese vecchio.
Alcuni maestri erano nativi del luogo, altri dai paesi vicini, giungevano in bicicletta, ma la maggior pane erano dell'Aquila città. Tutti si impegnavano alla grande.
L'insegnamento è un'arte che si apprende passo, passo e, molte volte, e spese del piu basso!...
"A l'oeuvre on reconnait l'artisan"(dall'opera si riconosce l'artista)
Poni qui, lettor ben gli occhi al vero...".
Dopo il conseguimento del diploma di proscioglimento come si chiamava il titolo di studio rilasciato dall'autorita scolastica del tempo si rientrava tra le domestiche mura in attesa del processo, della sorte...
Non si andava e tentoni nell'oscurita, e dire il vero ma si riuniva il consiglio di famiglia al quale partecipava I'insegnante della classe per un giudizio onesto e saggio del ragazzo.
Si aprivano all'Aquila i portoni delle scuole secondarie per il Nostro, ma bisognava sostenere dure prove che richiedevano un'agguerrita preparazione "che faceva tremar le vene e i polsi".
Ad ogni modo il Signore si compiacque di dargli una mano forse tutte e due e, con gran stupore - ancora gli trema il cuore - superò la prova, vittoria vera dell'Onnipotente!
Le fervide preghiere ch'egli aveva rivolte al cielo non andarono disperse: il corso degli studi fluiva come miele e fu coronato con borse di studio "Marchesani". "Albo d'Onore" e viaggi di istruzione per ogni dove. Gli anni che seguirono negli studi universitari e nella vita militare, accrebbero in lui, il desiderio di conoscere il meglio di se stesso per rendere omaggio a chi il messaggio aveva raccolto dei nostri padri, che nelle mani del Signore avevan riposto!

"Dio non ci lascia mai soli"
tipografia La Moderna-Sulmona (AQ)1988

 

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